C'è qualcosa di maledettamente recidivo e sbagliato nell'aria che hanno respirato (e che continuano a respirare) i giocatori dell'Inter nel post Mourinho. Qualcosa che sistematicamente, nei momenti più bassi, quando nulla sembra più funzionare (un film già visto), riaffiora con prepotenza. Qell'abitudine a sollevare il tecnico quando la stagione si mette male è entrata nell'ordine delle cose in casa nerazzurra, diventando un tutt'uno con la quotidianità. È successo qualcosa? No, tranquilli, hanno esonerato l'allenatore.
editoriale
La guerra (persa) degli allenatori in casa Inter
L'editoriale di Sabine Bertagna
Nel corso dei sette anni che si sono pesantemente prolungati dal post Mourinho ad oggi, ad Appiano Gentile sono transitati tanti allenatori e molti giocatori, ma la storia si è ripetuta fedelmente. Il gruppo non ha più stimoli, non risponde più alle sollecitazioni del tecnico (che pure, appena arrivato, era riuscito in una momentanea opera di rianimazione), non riesce ad imbastire una reazione degna di quel nome. Una storia che i tifosi nerazzurri conoscono a menadito. Una storia che non è degna dell'Inter.
Quali sono i meccanismi complessi che hanno determinato e poi tramandato questa dannosa abitudine? Non è del tutto chiaro. Ma se torniamo all'ultimo allenatore che ha gestito il gruppo con successo possiamo avere una risposta parziale. Mourinho era un accentratore e un decisionista, aveva la squadra in pugno, faceva l'allenatore, l'ufficio stampa, il direttore sportivo e mille altre cose. Sarebbe andato in guerra per difendere i suoi giocatori, ma loro avrebbero fatto altrettanto per lui. Alcuni, a dirla tutta, hanno continuato a farlo anche quando se ne era andato. Hanno difeso il suo ricordo. Era troppo doloroso doverne fare improvvisamente a meno. Poi il lento declino. E se in ogni allenatore che si è alternato dopo Mourinho possiamo facilmente trovare un difetto (chi dotato di poca empatia, chi troppo mediocre, chi inadeguato), non possiamo davvero credere che tutti loro siano gli unici colpevoli delle ripetute stagioni fallimentari che ha collezionato l'Inter. Anche se per questo hanno pagato.
Era stato da poco esonerato Stramaccioni e ad Appiano Gentile si teneva la conferenza stampa di presentazione del tradizionale ritiro estivo. Qualcuno aveva chiesto a Cambiasso se lui o altri compagni l'avessero sentito per sapere come stava. 'No' era stata la risposta e lo sguardo che l'aveva accompagnata, quasi a non voler comprendere il motivo della domanda, era stato ancor più eloquente. L'altro giorno, a salutare Stefano Pioli si sono fatti trovare in tre. Eppure Pioli, nonostante l'impietosa fotografia delle ultime partite, ha sempre difeso la professionalità della sua squadra. Forse troppo. Ecco, questo atteggiamento sta stancando. È ingiusto. E sposta gli errori del gruppo su un unico capro espiatorio. Da anni questa cosa si ripete con irritante puntualità. Da anni l'esonero del tecnico è vissuto con una pericolosa alzata di spalle.
Stefano Pioli era arrivato a quel punto che in casa Inter ormai conosciamo fin troppo bene. Il punto in cui la situazione è sfuggita di mano. Il momento in cui le dichiarazioni nel post partita raccontano di una realtà virtuale. Quando in campo nessuno più si danna per onorare la maglia. Arrivati a questo punto l'esonero diventa l'unica carta possibile. Le parole di Pioli dopo la disfatta a Genova hanno dato un segnale anche a Suning, probabilmente. 'Non sono disperato', ha detto l'ex tecnico nerazzurro. È forse proprio l'assenza di disperazione che rende normali le sconfitte. Ma le responsabilità del gruppo devono essere chiare a tutti, in prima battuta agli stessi giocatori. A chi ha storto il naso per un ritiro di qualche giorno. A chi non pensa che salutare il proprio allenatore appena esonerato sia un atto di rispetto. L'Inter del futuro, a questo punto, ha due possibilità per tirarsi fuori da questa situazione malata che gira in loop da sette anni a questa parte. O ingaggia un Mourinho. O si rimbocca le maniche e impara ad essere una società che funziona e fa funzionare le cose. Una società nella quale tutti lavorino nell'interesse collettivo, nessuno per il suo orticello personale. In campo e fuori. Non c'è cosa che conti di più in questo momento. Non c'è momento migliore per tornare ad essere quello che negli anni abbiamo disimparato ad essere. L'Inter. Solo ed esclusivamente l'Inter. I tifosi non chiedono altro.
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