editoriale

LA MEDICINA STA TUTTA LI’

Minuto 92, palla persa, riparte il Carpi. L’Inter sta a guardare, un passaggio filtrante nasconde la beffa. Errore macroscopico, difesa imperfetta, in netto ritardo sulla chiusura del taglio. Lasagna entra in area, sinistro, gol. Minuto 92, sul...

Dario Di Noi

Minuto 92, palla persa, riparte il Carpi. L’Inter sta a guardare, un passaggio filtrante nasconde la beffa. Errore macroscopico, difesa imperfetta, in netto ritardo sulla chiusura del taglio. Lasagna entra in area, sinistro, gol. Minuto 92, sul prato del Meazza è stato scritto un pezzettino di storia: San Siro gelato, incredulo e arrabbiato, l’incubo annunciato si era appena realizzato. Tante occasioni sprecate e un atteggiamento molto discutibile, roba che gli dei del calcio spesso puniscono. Quel minuto 92, vissuto dalla  tribuna stampa, ha fatto un certo effetto: lì sta la crisi di questa Inter, curabile con una sola medicina.

Ancora due giri d’orologio e sarebbe finita in altro modo, con l’ennesimo 1-0 e 3 punti in tasca, ma una lezione ancora tutta da imparare. Quest’Inter non meritava di superare la prova, uno studente impreparato al 90 % viene bocciato. In cattedra ha scelto di salire il prof. Lasagna, al suo primo gol assoluto nella massima categoria: tante volta capita di passarla liscia, ma prima o poi certe colpe vanno scontate. Così, in modo eclatante, la punizione alla fine è arrivata.

Niente da dire, giusto così. L’Inter non è scoppiata, semplicemente non è più quella che aveva conquistato la vetta della classifica. Ma non per problemi tecnici o tattici, quelli non sono una novità. Qualsiasi sorta di limite, ritirato in ballo adesso coi cattivi risultati, c’è sempre stato: centrocampo privo di piedi buoni, attacco sterile e gioco opinabile, tutto questo esisteva anche per l’Inter che ha vinto 12 volte, che guardava la Juve dall’alto e che in molti consideravano favorita o quantomeno contendente al titolo. Tutto questo esisteva già prima, non c’è assolutamente nulla di nuovo: la differenza sta nell’anima e nell’atteggiamento della squadra.  

L’Inter dei primi 4 mesi poteva vincere o perdere, giocare bene (mai troppo) oppure male (anche spesso), ma di una cosa il tifoso nerazzurro poteva essere certo ed orgoglioso: questa Inter, costruita in estate per esaudire i desideri di Roberto Mancini, in campo avrebbe sempre dato tutto. Ricordate il derby d’andata? E il cuore con cui è arrivata la vittoria con la Roma? La sconfitta di Napoli? In campo, lì, c’erano dei leoni. L’Inter impressionava per la forza del gruppo, faceva paura per la fame e per la compattezza, nonostante i limiti da sempre conclamati. Il KO del San Paolo racconta tutto, lì questo gruppo ha dimostrato di cosa è capace. In 10 sin dal primo tempo, contro una potenza come di fatto è il Napoli attuale, i nerazzurri non hanno mai mollato, sfiorando un pareggio eroico. Al fischio finale, ci poteva stare la delusione per la sconfitta, ma al tifoso interista scappava comunque un sorriso: dopo anni, di fronte ai propri occhi, era tornata una squadra incapace - per natura - di arrendersi e mollare. Una gioia per chi tifa tutto l’anno, 24 ore su 24 probabilmente da quando è nato. E’ questo che si chiede ai propri beniamini, dare tutto con indosso quella maglia.

Ora, tutto questo non si vede più. L’Inter non è mai stata da titolo, né ha professato tanto di esserlo: limiti troppo palesi, dura reggere un anno intero. Ma quando a primeggiare è il sacrificio, l’impossibile si avvicina un goccio di più al regno del possibile. Si guardi poco più in là, alla città di Torino: che fame ha la Juventus delle 11 vittorie consecutive? Quanta voglia ha di compiere questa rimonta incredibile? L’esempio principe è Mandzukic, la prima punta bianconera: tiri in porta contro la Roma? Zero, zero tiri, come quelli di Icardi contro il Carpi. Eppure, l’apporto che il croato ha dato in corsa e sacrificio è da invidiare in toto. Lo juventino ha corso come un matto per 90 minuti, così come spesso accade con un altro attaccante, Zaza. Gioca poco, ma quando lo fa ha in corpo una cattiveria (agonistica e positiva) da far impallidire: da parte sua, i tiri sono pari alle scivolate difensive che strappano applausi ai suoi tifosi. Per questo motivo, per la voglia e la fame, Zaza gioca più di Morata, ad ora spento ed irriconoscibile rispetto a quello di un anno fa. E il Napoli? Higuain è sempre e comunque un fuoco, un Hamsik così non si vedeva da qualche anno. Il gap attuale, insomma, sta soprattutto lì: l’Inter delle ultime gare ha perso quell’animo, elisir vitale che l’aveva portata in testa.

Uno come Mandzukic fa capire quanto conti in questo calcio il sacrificio. Non c’entra il paragone col solo Icardi, il discorso riguarda il gruppo in generale. Anzi, se c’è un uomo che può portare l’Inter a vincere qualcosa di importante, non si scampa dal numero 9 che indossa la fascia di capitano. Il problema riguarda il totale. Il gol di Lasagna come una bomba a orologeria, scoccata al minuto 92, ha fatto esplodere ogni sorta di critica, e lo stesso Meazza non è riuscito a trattenersi: primi veri fischi della stagione, figli di una delusione cocente. L’Inter ha sbagliato approccio e atteggiamento, perché qualunque giocatore al mondo voglia vincere trofei nella sua carriera, non potrà mai permettersi di giocare con questa mentalità. Dare per scontato una vittoria, credendo alla favola dell’impegno facile, dimostra pochissima maturità. Risultato? Una vera e propria figuraccia. Non ha senso vincere sul campo del Napoli, in Coppa Italia, e poi non riuscire a battere il Carpi con un gol e un uomo di vantaggio. Se sbanchi il San Paolo vuol dire che scarso proprio non lo sei, ma se poi perdi occasioni come quella di domenica, significa che il problema sta innanzitutto nella testa. Giocatori di un certo valore non cadono in simili sciocchezze, consapevoli che in questo modo sia impossibile raggiungere degli obiettivi.

Naturale che contino pure altre circostanze: la squadra non è stata costruita benissimo e cominciano a pesare le mancanze di quei giocatori che dovevano essere leader. Colpa loro e colpa dell’ambiente, che forse dovrebbe dargli maggiore fiducia. Per mesi ha funzionato l’effetto sorpresa, ma alla lunga dare una certa continuità paga. Impensabile vedere il talento di Jovetic pluri-panchinato, oppure un Kondogbia mai continuo: qualcosa realmente non va.

Nel post gara Roberto Mancini è stata durissimo, ha mostrato quella rabbia che avrebbe voluto vedere in campo dai suoi calciatori. A 50 anni forse avrebbe fatto quei gol (citazione sua), ma lo avrebbe fatto perché infuriato, spinto dalla grinta che lo ha portato a dichiarazioni piuttosto pesanti. L’Inter che è scesa in campo ultimamente lascia perplessi, proprio perché ha dimostrato di essere tutt’altra cosa. Le altre la temevano, in molti ad un certo punto l’hanno vista come la favorita al titolo, complicatissima da fermare. A Mancini e ai suoi tocca riprendere quella via, con un obiettivo ben chiaro in testa: il terzo posto sognato ad inizio stagione. Nel mirino resta quello, nonostante alcune circostanze abbiano portato a pensare ad altro. Bisogna ripercorrere la vecchia strada e volare basso, chi si è fatto strani pensieri torni sulla terra. Le altre hanno temuto un’Inter che non mollava mai, un’Inter che spaventava per la compattezza e l’unione del gruppo. Così non può far paura, non può incutere alcun timore. L’Inter ha perso il suo elisir: la lunga vita spetta ad altri, è un diritto di chi ha molta più fame. Di una cosa, fino a poco fa, si poteva stare certi: l’Inter poteva vincere, perdere, giocare bene o giocare male, ma il tifoso sapeva che in campo l’avrebbe vista dare tutto. La medicina sta tutta lì, basta riprenderla in buone dosi…

DARIO DI NOI  (@DarDinoRio)