editoriale

LA NOSTRA IDENTITÀ

È un’Inter dal pedigree manciniano. Sperimentale e quasi amorfa, un po’ antipatica ma efficace e volitiva. Di certo, dopo tanto tempo, è una squadra che ha un’identità. Il biglietto da visita è di quelli che fanno ben...

Fabrizio Longo

È un'Inter dal pedigree manciniano. Sperimentale e quasi amorfa, un po' antipatica ma efficace e volitiva. Di certo, dopo tanto tempo, è una squadra che ha un'identità.

Il biglietto da visita è di quelli che fanno ben sperare: poche prime donne e tanti lottatori, marcantoni che la maglia la sentono, la sudano e la onorano.Di questa Inter piace la ritrovata consapevolezza di poter fare qualcosa di importante, la voglia impiegata per realizzare quanto promesso a sé stessi e ai tifosi. Si, perché dopo tanti "anno zero", la rivoluzione sembra essere iniziata per davvero, negli interpreti e nella loro mente. L'Inter che negli ultimi 5 anni ha sostato nel limbo della mediocrità è tutto ciò che non deve ricapitare più. L'Inter è l'Inter, la squadra che fino a qualche anno fa gongolava sul tetto del mondo e guardava dall'alto tutti, talmente dall'alto che, forse, son venute le vertigini e si è caduti in basso.  Abbiamo raschiato il fondo, siamo arrivati noni e ci siamo nascosti dietro a dei "Ma poi ha iniziato a piovere...", abbiamo perso anche contro squadre di campagna, altro che provincia. Ci siamo scordati chi siamo, ecco la cosa più grave. L'Inter è un'altra cosa, gli interisti rivendicano il suo pedigree, il suo passato.Se c'è qualcuno che non crede alla storia del pedigree, guardate in faccia Medel, il Pitbull di razza. Leggetegli negli occhi la voglia, la garra, la disponibilità ad adattarsi ad un altro ruolo. Questa è l'identità della nuova Inter, che rivendica il passato e vuole riprendersi il futuro, quello che merita una squadra come la nostra.

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