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La Milano paziente, quella laboriosa, quella silenziosa ma tenace. La Milano che accoglie chi si identifica con il suo stile, ma anche chi non lo fa, la Milano che non molla neanche quando l'obiettivo sembra troppo lontano per essere accarezzato dal suo desiderio. La Milano del bauscia, orgoglioso, di bocca buona e incline a pochi giri di parole quando deve esprimere un'opinione, nel bene e nel male. Il legame prezioso e inscindibile che esiste tra questa città e il popolo nerazzurro è un dato che prescinde dai confini geografici. Porta nel suo dna alcune inderogabili caratteristiche (il pragmatismo, l'autoironia, l'umiltà), ma non ne subisce il limite. L'Inter, come d'altronde anche Milano, è da sempre una squadra che accoglie. Che trova nella diversità un potenziale. Che su quella diversità costruisce il proprio futuro. In chiave internazionale. C'è un giocatore che più di altri ha questa mentalità tatuata sotto la pelle e nel cuore. Il Capitano, detto Pupi, detto Javier Zanetti. Un argentino milanesizzato, la faccia serena di chi lavora perchè ci crede, uno che alle parole preferisce i fatti, ma che non si sottrae alle emozioni. Se ce lo fossimo dimenticati, nella passata stagione, l'Inter ha compiuto un'impresa dai contorni fantascientifici. Oggi alla premiazione dell'Ambrogino d'Oro mancava una persona speciale. L'anello di congiunzione tra il passato sofferto, quello dove si sudava per ricostruire e dove si gettavano le basi per diventare quello che oggi siamo e il futuro costellato di successi. Giacinto Facchetti avrebbe meritato di vedere tutto questo. Lui che nella sua indole discreta e profondamente meneghina sintetizzava come nessun altro i connotati di questa Milano nerazzurra. Semplicemente un modo di essere.
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