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editoriale
Ci sono fatti che obiettivamente non possono passare al vaglio delle interpretazioni. Che sono o neri o bianchi. Non stiamo parlando di un fuorigioco dubbio o di un presunto rigore. Pensiamo allo scossone mediatico dato nel periodo pasquale al processo di Calciopoli. Pensiamo a quando i titoloni dei maggiori quotidiani sportivi ipotizzavano (o speravano?) un ribaltamento delle parti. Non stavano più nella pelle per la voglia di trasformare le vittime in carnefici. Ci pensate? Ma a chi piace al giorno d'oggi una pura storia di onestà? A chi? Eppure la soluzione era lì a portata di mano. Bastava semplicemente ascoltare la telefonata definita "la madre di tutte le intercettazioni" (figuratevi le altre). Una roba semplice, a prova di imbecille. Ascoltare chi pronunciava che cosa. Eppure in un paese come il nostro si sono dovuti attendere mesi per avere la conferma che il castello di carte messo in piedi dalla difesa (che ovviamente avrebbe fatto di tutto per salvarsi le penne) era un castello immaginario. La proiezione dell'insano e malvagio desiderio di alcuni. A pronunciare il nome di Collina il designatore Bergamo e non Giacinto Facchetti. Una constatazione ovvia, che ancora una volta purtroppo ha evidenziato il bisogno di fare notizia al di là di ciò che effettivamente accade. A chi desidera la verità e nient’altro che la verità diciamo solo una cosa. Non è un paese per voi…
A Tuttosport, invece, che oggi proponeva la notizia come un ripensamento del perito Porto ricordiamo di quale collaboratore si sia avvalso Moggi per la trascrizione delle telefonate. Un consulente finanziario, ispettore antidoping (!!!) della federazione, gestore di locali, amico di gente dello spettacolo, ultrà, accompagnatore di potenti, procuratore e chi più ne ha più ne metta…Un curriculum di tutto rispetto, non c’è che dire…
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