editoriale

Standing Ovation for Mou

Ci eravamo salutati con le lacrime agli occhi, il cuore che pompava riconoscenza incredula e con un cenno della mano che sapeva più di arrivederci che di addio. Lui, Josè Mourinho, aveva scelto il miglior momento per andarsene. Nonostante il...

Sabine Bertagna

Ci eravamo salutati con le lacrime agli occhi, il cuore che pompava riconoscenza incredula e con un cenno della mano che sapeva più di arrivederci che di addio. Lui, Josè Mourinho, aveva scelto il miglior momento per andarsene. Nonostante il dolore che quel distacco ci aveva provocato, la consapevolezza di essere diventati leggenda ci aveva aiutato, almeno in apparenza, a lenire la ferita. E così il popolo nerazzurro era stato chiamato ancora una volta a schierarsi. Chi aveva deciso di ergerlo a divinità, chi per sopravvivere aveva deciso di doverlo per forza odiare. Questo il prezzo per dimenticarlo. Ma il turbinio di emozioni non aveva sconvolto solo i tifosi. Aveva travolto senza mezzi termini la società, i giocatori, i giornalisti. Il calcio italiano, pur nel suo provincialismo, non aveva potuto rimanere indifferente al passaggio del portoghese e tutto, dopo il suo addio, parlava di lui. Una Moustalgia dilagante e contagiosa. Passata l’estate erano di nuovo tutti lì a chiedersi che cosa avrebbe fatto l’Inter dopo il Triplete, chi l’avrebbe guidata, se e che cosa avrebbe vinto. Tutto ciò che è venuto dopo quel 22 maggio è stato difficile. Ogni ricordo una fitta al cuore. Il presente contaminato dal passato. E il futuro? Sembravamo imbrigliati in un problema dalla soluzione complicata. Chissà quale formula avrebbe risolto l’incapacità di sviluppare un’identità post-mourinhiana? La squadra più forte sembrava aver perso le sue doti invincibili. Josè intanto affrontava una nuova avventura a Madrid (un segno del destino?), anche se non mancava di mandare piccole e preziose dichiarazioni d’amore alla famiglia nerazzurra. Talvolta imbarazzanti. Noi distoglievamo lo sguardo e cercavamo di autoconvincerci che non erano vere, che il nostro allenatore era un altro, che non si poteva continuare così. Poveri illusi! Per mesi abbiamo mentito a noi stessi: tifosi, giocatori, tutti. E adesso che pronunciare le parole Josè Mourinho non è più un peccato, adesso che si può liberamente parlare di un sentimento del quale non ci dobbiamo vergognare, adesso che finalmente la platea del calcio gli ha riconosciuto un premio che ci rende pieni di orgoglio perché corona il nostro anno, adesso finalmente troviamo un po’ di pace. Il miglior allenatore del mondo. Della migliore squadra del mondo. Avere uno come Leo sulla panchina è per noi un onore. Un animo romantico come lui ha capito subito che cancellando e rinnegando tutto quell’amore, non si andava da nessuna parte. Forse adesso possiamo ricominciare. Non c’è nulla di strano nel sorridere orgogliosi sapendo che Josè Mourinho è un interista. Stasera non c’è nulla di strano nel dichiararci Mourinhiani. Stasera e in fondo al cuore lo saremo sempre. Grazie J.M.

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