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Quello che non ti uccide, ti fortifica. L'Inter è un po' così. Prima ti proietta oltre limiti mai nemmeno immaginati e poco dopo ti fa precipitare in un baratro senza luce. Tipico di chi è eccessivo, smisurato e passionale. Ha quel sapore lì, la rimonta a Catania. Tre gol che i nerazzurri hanno messo a segno nel secondo tempo, dopo che l'unico pensiero ossessionato che si faceva strada era quello di non prenderne altri. Non si vinceva in trasferta da quella bellissima partita contro la Juve, assurta troppo presto a simbolo di qualcosa che ancora, di fatto, non era stato realizzato. Lo raccontano i numeri, quindi. Che l'Inter ha frenato bruscamente a novembre, perdendo punti preziosi e certezze ancora più care.
In mezzo una lista di infortunati preoccupanti, per numero e gravità e un mercato strano. Incapace di leggere le reali necessità della rosa. E non chiamiamo certo in causa investimenti grossi che l'Inter non può più concedersi. Errori di valutazione, dovuti anche al clima poco sereno che si instaura inevitabilmente quando non vinci, ma sai che devi ricominciare a farlo. Subito. Di chi vorrebbe fare progetti, ma finisce per vivere alla giornata. In tutto questo Stramaccioni non si è mai sottratto alle sue responsabilità. Sta cercando di uscirne. Vecchi stratagemmi che avevano funzionato, ora non hanno più lo stesso smalto. E tra i mille cambiamenti di modulo alla ricerca forsennata di quello vincente, Strama non ha avuto vita facile. Ha commesso degli sbagli, come tutti. Difficile attribuirgli quelli originari, di lunga data, che si trascinano e riemergono quando tutti pensavano ormai di esserseli buttati alle spalle. Fare l'allenatore dell'Inter non è mai facile. Non sappiamo quanta solitudine, a volte, questo ruolo comporti. Nelle scelte, nei momenti più neri, davanti alle telecamere. Potremmo imparare ad immaginarla, però. Senza additare in automatico, quando le cose vanno male, il colpevole più facile. Quello più a portata di mano. Quello che non si è mai nascosto.
Twitter @SBertagna
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