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Tra una cosa e un'altra è già passato un anno. Un anno dall'esonero di Walter Mazzarri e dal ritorno del Mancio, del quale non avevamo dimenticato nulla. Nemmeno il ciuffo. L'entusiasmo liberatorio con il quale avevamo accolto la notizia, esattamente un anno fa, aveva provveduto a spazzare via quella fastidiosa patina di rassegnazione. Perché ormai alla nostra Inter dimessa eravamo rassegnati, perché non sembrava possibile pretendere più di così, perché a quella pericolosa mediocrità ci stavamo lentamente abituando. Noi che eravamo e siamo l'Inter avevamo rinchiuso le ambizioni in un cassetto e avevamo dimenticato il posto nel quale avevamo nascosto la chiave. Non sapevamo più che cos'era l'Inter.
E' dovuto tornare il Mancio a ricordarcelo. Con un aplomb nuovo, disegnato dall'esperienza e dal confronto al di fuori dei nostri confini. Un aplomb essenziale, che fin dal primo minuto è andato dritto al cuore della questione. Così, dopo anni ad arrabattarci il Mancio ci ha ricordato che per tornare a vincere è necessaria sì la convinzione, ma anche (e soprattutto) giocatori capaci di stare in campo e giocare a calcio. Il mercato di gennaio è stato un mercato che nel tempo ha evidenziato le forme del fallimento, ma che sulla carta aveva motivazioni inconfutabili. Gli sbagli servono anche a correggere il tiro e non c'è stata esitazione nel bocciare gli obiettivi richiesti appena sei mesi prima. La rivoluzione o si fa seriamente o meglio lasciar perdere. Per il Mancio la rivoluzione era imprescindibile.
Un margine di errore bassissimo è la sfida che il Mancio ha accettato di affrontare. Tornare dove aveva vinto con il rischio di cancellare quei ricordi bellissimi, che ancora hanno il sapore della pioggia di Parma. Ora, dopo un anno vissuto finalmente più pericolosamente, il bilancio è a tratti sorprendente. Mazzarri è un lontanissimo ricordo e adesso che quest'Inter ha più aspetti positivi che negativi, i confronti con l'era precedente non si fanno più. Il lavoro da fare è ancora tanto. L'Inter non è una creatura perfetta, ma una creatura più sicura e meno propensa all'arrendevolezza. Sono cambiati gli interpreti e il gruppo trova nella sua unione un ulteriore elemento di forza. Anche nelle naturali difficoltà. Non si disintegra più alla prima incursione cattiva o alla prima critica. Un anno fa la speranza di vedere un'Inter migliore era già più che sufficiente a farci sentire meglio. Oggi, dopo esattamente un anno, incominciamo a vedere un'Inter migliore in campo e in classifica. Vinciamo. Non soccombiamo alla prima folata di vento. Oggi, dopo un anno, la speranza ha trovato la chiave del cassetto che custodiva le nostre antiche ambizioni e le ha finalmente liberate. E non è per niente poco.
Twitter @SBertagna
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