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La battuta sul matrimonio è centrale nella conferenza stampa, tutt’altro che spettacolare, di un Mazzarri emozionato e controllatissimo, nella affollata saletta di Appiano Gentile. “A Napoli è stato un matrimonio, e come tutti i matrimoni ha avuto un inizio e una fine”: risata generale, ma il concetto non fa una grinza ed è quanto mai rivelatore del personaggio. Neppure il matrimonio, per il mister toscano, è eterno, anzi.
I fatti gli danno ragione, nel calcio e nella vita. Ma le sue parole, in questo caso quanto mai schiette, danno la certezza che stiamo celebrando un “matrimonio d’interesse”. Interesse reciproco, naturalmente.L’Inter ha un disperato e lucido bisogno di risalire rapidamente sul tetto del calcio italiano e riaffacciarsi a stretto giro in Europa. Non ci si può concedere il lusso romantico di un’altra stagione incerta, ricordando i vecchi tempi, quando suscitavamo la compassionevole ironia dell’altra metà di Milano e soprattutto degli altri tifosi. L’Inter e i suoi tifosi si sono troppo abituati, negli ultimi anni, ai successi a raffica, per accettare di buon grado un destino di mezza tacca o di delusioni continue.
Per alcuni c’è proprio una smania di successo che secondo me non appartiene esattamente allo spirito dell’Inter e alla sua storia più profonda. Però a nessuno piace perdere, e perdere malamente, ripetutamente. E’ doveroso provare a risalire rapidamente la china, individuando strategie semplici e nette, e dunque protagonisti che corrispondano a caratteristiche di concretezza inoppugnabili. Ecco perché l’Inter sposa Mazzarri.
Ma anche Mazzarri ha un cruccio, profondo, non detto, ma evidente. Non ha mai vinto niente di significativo. Troppo poco in dieci anni di panchina in serie A, specie se si tiene conto della qualità del suo Napoli negli ultimi campionati. Alcuni tonfi, anche in Europa, sono stati persino imbarazzanti. Ho la sensazione che stavolta De Laurentis ci credesse davvero al colpaccio di vincere lo scudetto, di superare la Juventus in volata. E’ lì che si è rotto il meccanismo, è in quel momento che il matrimonio è andato in frantumi. Perché Mazzarri non poteva non ammettere di aver fallito l’obiettivo principale, ossia la vittoria, il trionfo con il “suo” Napoli. Ecco perché adesso si gioca tutto con l’Inter, ecco perché accetta questo “matrimonio d’interesse”. Se dovesse riuscire a costruire una squadra vincente dalle macerie del Triplete raggiungerebbe il traguardo della sua carriera. Potrebbe persino puntare, l’anno prossimo, a giocarsi in Europa una carta fantastica, sulle orme di un passato recente dei nerazzurri. Ha parlato solo di “squadra competitiva”, ma questa è scaramanzia pura, doverosa del resto. In realtà l’ambizione è alta, ed è logico che sia così. In fin dei conti è quello che speriamo anche noi, tutti noi, anche coloro che, come me, non nutrono una particolare simpatia (è un pregiudizio, lo ammetto) per il nuovo mister.
Il rischio però di questo matrimonio è che in famiglia ci sono tanti figli già adulti, forse troppi. Ridurre la rosa a 22 elementi significa tagliare duramente. Ho la sensazione – senza averne le prove – che a Mazzarri si chieda proprio questo: riuscire, attraverso una obiettiva e spietata analisi tecnica e agonistica, a chiudere rapporti di lavoro che durano da anni, con giocatori che hanno fatto la storia della nostra squadra. Un “terminator”, un “rottamatore”, insomma, con ampia licenza di uccidere, non in modo irrazionale ed emotivo, ma basandosi sui risultati della prima terapia d’urto, ossia quel “lavoro” che ha indicato in modo quasi ossessivo come la premessa di ogni successo futuro, e di scelte di mercato, e dunque di formazione.
Il passato ci fa temere che la reazione dello spogliatoio possa essere estremamente variegata. Perché Mazzarri possa riuscire nell’intento di rinvigorire la squadra, in un mix fra giovani ed esperti, occorre che tutti remino nella stessa direzione, e che l’allenatore e il suo staff non siano lasciati da soli in questa prima fase. Non se lo meriterebbe lui, ma soprattutto non ce lo meritiamo noi, che ostinatamente anche adesso siamo pronti a tifare per la nostra squadra, come sempre, anche se – per quanto mi riguarda – con un certo disincanto. Per citare Mourinho, occorre ricordare la differenza fra sogno e ossessione. Ne sa qualcosa il Barcellona che incontrammo nell’anno del Triplete. Forse Mazzarri dovrebbe comunque riguardarsi quelle due partite. E’ da lì che si deve (e si può) ripartire.
Franco Bomprezzi
@Bomprezzi
Franco Bomprezzi, nato a Firenze nel 1952, giornalista e scrittore. Vive in sedia a rotelle per gli esiti di una malattia genetica. Ha lavorato in quotidiani, agenzie di stampa, portali internet. Attualmente free lance ed esperto di comunicazione sociale. Editorialista del magazine “Vita”, cura il blog “FrancaMente”; per il Corriere della sera scrive nel blog “InVisibili” e modera il forum “Ditelo a noi”; ha scritto “La contea dei ruotanti” (1999) e “Io sono così” (2003). Ambrogino d’Oro nel 2005, è stato nominato Cavaliere della Repubblica il 3 dicembre 2007 dal presidente Napolitano
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