editoriale

You’ll never walk alone

Sabine Bertagna

Si sa, il tifoso è eccessivo, fazioso e smisurato per definizione. Lo siamo tutti, chi più, chi meno. Viviamo in funzione delle partite: al fischio dell’arbitro smettiamo di respirare e perdiamo il controllo. Piccoli e grandi atti di follia...

Si sa, il tifoso è eccessivo, fazioso e smisurato per definizione. Lo siamo tutti, chi più, chi meno. Viviamo in funzione delle partite: al fischio dell’arbitro smettiamo di respirare e perdiamo il controllo. Piccoli e grandi atti di follia perpetuati come se fossero un rituale normale. Quasi inevitabile. Ma agli occhi di chi tifoso non è, appariamo come alieni precipitati sulla terra. Individui ossessivi e irrazionali. Un branco di fanatici. Ecco, io appartengo a questa specie, la vostra. Patisco terribilmente ogni evento calcistico che riguardi la nostra squadra, sia quando sono prossima alla gioia, sia quando all’orizzonte intravedo la sventura. Non posso fare a meno di questo insano fanatismo e come voi non l’ho scelto. Per questo motivo anche oggi sono qui a scrivere, oggi che siamo ormai prossimi a cedere quel prezioso scudo conservato con amore da cinque (sottolineo cinque) lunghi anni a questa parte. Fa male, non posso negarlo. E questo non perché io creda infantilmente che si possa vincere sempre o che le vittorie siano l’unità di misura del nostro folle amore verso i colori nerazzurri. Io, come voi, c’ero anche quando perdevamo e anche malamente.

Adesso che questo scudetto lo dobbiamo davvero salutare, mi accorgo di quanto sia stato impensabile averlo vinto anno dopo anno, in maniera ossessivamente regolare, quasi si trattasse di una pratica semplice. E mi sembra di sentire ancora quelle voci irritanti che blateravano di vittorie scontate, vuoi perché qualcuno era in b, vuoi perché qualcuno non era all’altezza. Voci che al primo pareggio inscenavano tragedie, intaccando le nostre sicurezze e invocando a gran voce la ormai nota crisi Inter. Incredibile quanta inflessibilità ci mettessero nell’oscurare i nostri meriti. Lo scudetto lo potete perdere solo voi. Eravamo gli artefici incontrastati del nostro destino. E così, dopo un periodo indimenticabile, abbiamo finalmente dato ragione ai nostri detrattori. Era proprio vero. Questo scudetto lo potevamo perdere solo noi e così è stato. In una di quelle annate incerte e scostanti come tante squadre hanno da tempo immemore senza per questo allarmarsi più del dovuto, ricca di infortuni, con un cambio di allenatore in corsa, un amore mai finito nel cuore e partite degne dell’Inter più pazza, stavamo riuscendo nell’impresa (ma sarebbe stata tale anche per gli altri?) di vincere ancora una volta lo scudetto. Forse anche agli dei sarà sembrato eccessivo.

E allora è giusto che si affermi la squadra che quando vince fa bene al paese e soprattutto al suo presidente. La squadra degli ineccepibili non farà fatica a santificare la sua stagione: i suoi portavoce sono abili maestri nell’alterare ciò che vediamo e tramutarlo in sensazionali imprese rossonere. Quando uno è scaltro bisogna riconoscerlo. E noi non siamo così ciechi da non capire quando una partita è persa. Ci vogliono estrema dignità e consapevolezza anche il quel frangente. E’ per questo motivo che ho deciso che da stanotte sul mio balcone farà nuovamente comparsa la nostra bandiera. In un momento di lucidità (o follia, decidete voi) ho capito che mi sentivo maledettamente fiera. Fiera della squadra per la quale tifo. Fiera di ciò che è stato, di ciò che sarebbe potuto essere e di ciò che sarà. Fiera di avere ancora una volta vissuto una stagione da protagonista indiscussa. Non so la vostra, ma la mia squadra è differente. SEMPRE.