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ESCLUSIVA Federico Meazza: “Stadio? Spero intitolato a mio nonno. Ma perché San Siro…”

Marco Macca

Ricordi la cerimonia di intitolazione?

Come no. C'ero, era il 2 marzo del 1980: una giornata grigia e piovosa, tipica della Milano di qualche decennio fa. C'era l'allora sindaco di Milano Tognoli, i presidenti di Inter e Milan Fraizzoli e Colombo, l'indimenticabile avvocato Prisco. C'era ovviamente tutta la mia famiglia: io (all'epoca Federico Jaselli Meazza aveva poco più di 11 anni, ndr) ebbi l'onore di togliere il drappo dalla targa che testimoniava l'intitolazione dello stadio a mio nonno (mancato il 21 agosto del 1979, ndr). La cerimonia avvenne prima di un derby, tra l'altro molto emblematico, visto che vincemmo 1-0 con rete di Oriali nel secondo tempo, una vittoria che ci permise di allungare a +8 sul Milan e di arrivare allo scudetto del 79-80, il 12° della storia nerazzurra. Ricordo bene quella giornata: ricordo le emozioni vissute come se fosse ieri. Sensazioni incredibili, d'orgoglio per aver avuto un nonno così importante, ricordato per le sue gesta sportive e non solo.

Nel 2010 hai pubblicato un libro dedicato alla carriera di suo nonno "Il mio nome è Giuseppe Meazza". Che persona era nel privato, fuori dal terreno di gioco?

Era un uomo di una sensibilità e di un'umiltà eccezionali. Lo ricordo come un nonno affettuoso, una persona molto pacata e molto umile. Gli faceva tanto piacere quando lo riconoscevano, era una persona a cui era molto facile voler bene, mi piace sottolineare che era davvero una persona perbene. E' stato il primo a portarmi allo stadio insieme ai miei genitori. Era negli anni '70, mi fece conoscere Facchetti e Mazzola, ho anche la foto del 1974 in cui sono con loro in spogliatoio in compagnia di mio padre e mio nonno (foto che potete vedere in basso e per cui ringraziamo Federico Jaselli Meazza, ndr). Ogni tanto facevamo due palleggi insieme e mi ricordava di studiare, evidentemente si era accorto che non ero un granché (ride, ndr). Spesso, quando veniva a cena a casa, mi regalava oggetti dell'Inter. A lui sono legati i primi ricordi allo stadio. Ricordo che aveva la mania di andare via qualche minuto prima della fine della partita per paura di trovare traffico all'uscita, oggi non lo farei mai! Ci siamo persi anche dei gol. Quando si alzava, partiva sempre un grande applauso da parte di tutti, rispetto e affettuoso. Capivi di avere un nonno importante e speciale.

Chissà cosa direbbe tuo nonno di fronte alla decisione di demolire lo stadio a lui intitolato per costruire un altro impianto...

Ne sarebbe sicuramente dispiaciuto, anche se lui ci ha giocato poco a San Siro, visto che ha giocato principalmente all'Arena. Ma era comunque legatissimo a quello stadio, credo che quindi ne sarebbe dispiaciutissimo. Al contempo, però, col suo carattere non avrebbe sicuramente fatto polemiche. Polemiche che non faccio nemmeno io, ci mancherebbe altro. Rimango interista fino al midollo anche se la società avesse idee diverse. Amo l'Inter, per me è una seconda famiglia, non ci sono dubbi su questo. Ci sono idee differenti, ma per carità: massimo rispetto per le due società. Non voglio entrare assolutamente in polemica, voglio solo illustrare il mio punto di vista. Il comitato 'Sì Meazza' vuole semplicemente dare voce ai cittadini, proponendo soluzioni.

C'era un giocatore dell'Inter a cui era affezionato?

Su tutti, Mazzola e Facchetti. Con loro ebbe un legame straordinario. Ma anche con Bruno Bolchi, grintoso mediano e poi bravo allenatore. Era molto legato anche a lui.

E un allenatore?

Due: Arpad Weisz, che lo scoprì, e Vittorio Pozzo. Arpad per lui era un secondo padre, la notizia della sua fucilazione ad Auschwitz lo addolorò tantissimo, lo distrusse. Una ferita terribile. Era un allenatore eccezionale (all'Inter prima da giocatore nella stagione 1925-26 e poi le parentesi da allenatore tra il 1926 e il 1931 e poi tra il '32 e il '34 con la vittoria dello scudetto sulla panchina dell'Ambrosiana Inter nella stagione 1929-30, la prima a girone unico della storia del campionato italiano, ndr), moderno nel suo genere, tanto che già ad allora prediligeva il gioco veloce palla a terra, tanto che urlava ai suoi calciatori: 'Falla correre quella palla, falla correre!'. Mio nonno gli è rimasto legatissimo. Poi, Vittorio Pozzo: con lui ha vinto due Mondiali. Anche a lui ha voluto molto bene.

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