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Nato a Montevideo, in un quartiere molto povero, Alvaro Pereira è cresciuto ed ha coronato il suo sogno: giocare a calcio in una grande squadra, disputare il mondiale con l'Uruguay e addirittura segnare un gol. E' accaduto nel 2010, quando ha messo a segno il definitivo 3 a 0 della sua nazionale contro il Sud Africa. “Ho chiuso gli occhi in quel momento e ho pensato a tutta la mia vita – spiega Pereira -. Poi li ho dovuti aprire, altrimenti giocare a calcio così è difficile”.La sua storia adesso è diventata un libro. Quella che può apparire come una favola è invece la realtà. “Due anni fa mi hanno proposto questa idea. Non l'avevo fatto forse per timidezza, ma ho deciso di metterlo in atto perchè era per una giusta causa e per aiutare le scuole. Il progetto infatti non è a scopo di lucro. Lo faccio per amore e perchè quando ero un bambino mi piaceva leggere le storie sui giocatori della mia nazionale”.Il suo soprannome 'palito' deriva dalla sua struttura fisica. Un ragazzo magro e alto cresciuto nel quartiere di Punta Rotaie. Quando giocava a calcio da piccolo, ogni ragazzo ambiva ad essere un calciatore ben definito, come Francescoli, Ruben Sosa o Daniel Fonseca. Lui invece no era semplicemente 'palito'. Un giorno ad otto anni, andò a correre con il padre che notò in lui una buona resistenza. Da quel giorno cominciò la sua vita da atleta.Come tutti gli adolescenti del suo paese, conciliava la vita da studente con quella di calciatore. Si iscrisse in un piccolo club e pagava i suoi spostamenti vendendo il pane che la mamma sfornava giornalmente. Iniziò a giocare nel Miramar di Montevideo in terza divisione, salvo poi essere chiamato dalla sua nazionale under20 per una tourneè. In quel momento la sua vita è cambiata.“L'album Palito” sarà distribuito in Uruguay e il ricavato sarà consegnato alla Fondazione Celeste, un'organizzazione fondata dai calciatori uruguaiani che conclusero al quarto posto la Coppa del Mondo in Sud Africa.“Il libro è molto carino e divertente – spiega Pereira -. Spero che piaccia a tutte le persone e specialmente ai bambini. Il messaggio che vogliamo trasmettere è che i sogni dei bambini devono diventare obiettivi. Che anche i bambini delle classi sociali più povere possono emergere. Con la volontà e il sacrificio si può fare tutto. Non solo nel calcio, ma anche nella vita e nel lavoro”.
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