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Dai microfoni della rivista Undici, ecco alcuni estratti in cui il bomber argentino Diego Milito parla del suo passato nerazzurro:
Arrivato all'Inter, metti i piedi nella squadra di Ibrahimovic.«Esatto, raggiungo il gruppo negli Usa e faccio la preparazione con Ibra, abbiamo giocato anche un'amichevole insieme. Onestamente sarebbe stato un onore giocare con lui. Negli allenamenti funzionava bene! (ride) Ma non posso certo lamentarmi, è arrivato Eto'o e abbiamo fatto una stagione straordinaria».
All’inizio della stagione non eri il numero uno della squadra. Sentivi la pressione di giocare con tanti nomi di prestigio?«Ammetto che a 30 anni l’Inter rappresentava un’incredibile opportunità di giocare in un grande club e di giocarsela in competizioni importanti che non avevo mai giocato prima. Questo spiega perché sono arrivato con una voglia enorme. E mi sono sentito in sintonia col pubblico interista. A Boston, giochiamo un derby, vinciamo 2-0 e segno una doppietta».
E Gattuso impazzisce...«È vero! Gli faccio un tunnel (in realtà gliene fece tre, ndr). Il pubblico ha apprezzato, ma sono solo situazioni di gioco. È stato molto più importante vincere 4-0 alla seconda di campionato: ho segnato un gol e fatto due assist. Un vero amore a prima vista».
Allora, Eto’o arriva come campione d’Europa col Barcellona, eppure è lui che gioca sulla fascia. Come si è deciso?«In realtà, abbiamo iniziato a giocare con due centravanti e Sneijder indietro, con il 4-3-1-2. E funzionava benissimo, fino a una partita contro il Chelsea a San Siro, negli ottavi di finale di Champions. Eravamo in difficoltà, e quindi Mourinho fa entrare Balotelli e gli dice di giocare sulla fascia destra, mentre Eto’o va a sinistra. Abbiamo giocato bene, il modulo è rimasto così: Pandev a destra, Eto'o a sinistra io al centro e Sneijder dietro di me».
Com'è possibile far coesistere l’ego di due grandi bomber?»Devo dire che è stato tutto fantastico con Samuel. Come dicevo, non dipende tutto dal talento e dall’allenamento, la testa conta tanto. E in questo tipo di situazioni, è l’intelligenza che ha fatto la differenza. Quella di Samuel, certo! Lui è un grande campione, ha lavorato tanto. Mi sentivo veramente privilegiato. C’era un grande feeling tra noi, trovavamo un accordo facilmente, tiravamo i rigori a turno. Non c’è stato nessun problema».
Il Triplete è stato la vittoria di cosa?«Dell’intelligenza e della forza di un gruppo straordinario. In questa squadra c’era una grandissima fiducia nelle nostre capacità. Sapevamo esattamente quello che stavamo facendo. E poi l’obiettivo era magnifico. Era tutto riunito: l’entusiasmo del presidente Moratti, che era come un padre per noi, la gioia dei tifosi, il sollievo dei tanti giocatori che aspettavano questa vittoria da tempo, come Zanetti, Samuel, Maicon, Stankovic, Julio Cesar. Materazzi è stato importantissimo con la sua esperienza. Era molto allegro, sempre dell’umore giusto. Avevamo grandi talenti ma anche il tipo di giocatori che fa la differenza all’interno del gruppo».
Un simbolo di questa intelligenza?«Se parliamo di intelligenza, devo parlare del Cuchu Cambiasso. Lo conosco da quando eravamo ragazzini, allora era bellissimo vivere queste vittorie insieme. Lui ha sempre avuto un allenatore dentro. È un giocatore che vive per il gioco e i suoi segreti».
E Mourinho, allora?«Lui ha messo insieme i pezzi buoni. Un allenatore superpreparato che conosce benissimo il gioco e sa gestire ogni giocatore. Ha il dono di capire le dinamiche di ogni gruppo. Mourinho è riuscito a mantenere la nostra motivazione dal primo all’ultimo giorno. Io avevo già 30 anni, ma ho giocato quella stagione con la voglia di uno che si gioca tutto».
La sera della finale allo stadio Santiago Bernabéu, sorprendi tutti dicendo: “Ho un'offerta importante, non so se resto”.«Quella frase… Diciamo che fu un errore parlarne, ho sbagliato. Magari non era il miglior momento. C’erano contatti con certe squadre ma non posso rivelarle».
Il Psg di Leonardo?«Preferisco non dire nulla, mi dispiace».
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