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MOURINHO ADDIO ALL’INTER! RIPERCORRIAMO DUE ANNI AD ALTA TENSIONE

Alessandro De Felice

Si presentò sorprendendo tutti con un «non sono pirla» degno di un milanese doc. Dopo due anni se ne va chiarendo che l’Italia non è il Paese adatto per lui. In mezzo, nei suoi due anni alla guida dell’Inter, Josè Mourinho ha...

Si presentò sorprendendo tutti con un «non sono pirla» degno di un milanese doc. Dopo due anni se ne va chiarendo che l'Italia non è il Paese adatto per lui. In mezzo, nei suoi due anni alla guida dell'Inter, Josè Mourinho ha fatto il pieno, di successi ma anche di polemiche e tensioni con gli altri attori del mondo calcistico italiano. Il portoghese ha conquistato tutto quello a cui più teneva: la sua seconda Champions League e il titolo in serie A (due volte), dopo il campionato portoghese e quello inglese, oltre a una Supercoppa e una Coppa Italia. Ma la sua villa sul lago di Como e il centro sportivo di Appiano Gentile sono stati gli unici posti confortevoli. Nelle conferenze stampa (centellinate negli ultimi mesi) e sulle panchine di tutti gli stadi di serie A si è sentito più un uomo solo in guerra contro tutti: il Robin Hood che difendeva l'Inter dalle angherie dei potenti. I polsi incrociati a mimare le manette sono la sua protesta più eclatante contro arbitri con cui spesso non è stato in sintonia: espulsioni, deferimenti e squalifiche le conseguenze che fanno montare l'intolleranza di Mourinho verso l'Italia. Senza contare lo spintone a un giornalista a Bergamo, la denuncia di «prostituzione intellettuale» è invece l'invettiva più dura contro la stampa: memorabile prologo dello show sugli «zero tituli» di Roma, Milan e Juventus. Attaccare non è mai stato un problema, e contrattaccare (come la sua Inter in campo) è l'azione meglio riuscita a questo tecnico che si carica quando sente «il rumore dei nemici». Persona riservata se ce n'è una quando si parla della sfera privata, lo stesso Mourinho rivela al mondo che guadagna «non 9 ma 11 milioni di euro, che con gli sponsor arrivano a 14», rispondendo a un cronista che lo sfida a fargli la formazione in cambio di parte dell'ingaggio. Claudio Ranieri è rivale ricorrente di Mourinho, che nella sfida dialettica arriva a citare Sartre e 'La nauseà. Anche la Lega calcio e Adriano Galliani sono suoi bersagli quando vengono cambiati i calendari alleggerendo il percorso del Milan verso l'ultimo derby. Alla fine i nerazzurri passano 2-0 giocando in 10. «E lo avremmo fatto anche in 7 uomini», tuona Mourinho, denunciando «uno strano odore». Di quattro derby perde solo il primo, che è anche la sua prima sconfitta con l'Inter. Il primo successo, invece, è la Supercoppa Italiana contro la Roma, di cui divide il merito con il suo predecessore Mancini. Muntari è il migliore dei tre acquisti di quell'estate 2008, Amantino Mancini delude, mentre Quaresma si rivela un pessimo affare. Mourinho lavora sul gruppo, lo fa maturare sotto il profilo della mentalità, più lentamente su quello del gioco. Lo scudetto arriva dopo un campionato dominato, mentre è scottante l'eliminazione dalla Champions agli ottavi di finale. Un anno fa Mourinho fa sapere che il Real lo tenta. Moratti lo blinda con prolungamento e adeguamento del contratto e si prepara alla sua migliore campagna acquisti: lo scambio Ibrahimovic-Etòo, Milito e Thiago Motta sembrano già abbastanza. Ma senza un trequartista il portoghese non se la sente di fare promesse: «Non posso fare miracoli. Non sono Merlino o Harry Potter». Così arriva Sneijder, l'ingrediente perfetto per queso 'magò che va d'accordo con tutti i suoi giocatori tranne che con Balotelli. A tanti Mourinho ricorda Helenio Herrera, il 'magò per antonomasia. Anche a Moratti, che ha scomodato il paragone quando ancora non credeva che il tecnico senza troppa diplomazia si sarebbe messo d'accordo con il Real senza prima avvertirlo. Su due cose si può stare tranquilli: Mourinho non era un 'pirlà, e l'Italia non lo ha cambiato.