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le rivali
Il sospetto di una vendita gonfiata: una cifra fuori mercato pagata attraverso canali internazionali. È questa l’ipotesi di lavoro da cui sono partite una serie di verifiche per accertare la reale provenienza del denaro con cui la società rossonera.
Secondo le ipotesi investigative, nel passaggio di proprietà avvenuto nell’aprile scorso per 740 milioni da Silvio Berlusconi all’imprenditore cinese Yonghong Li, ci sarebbe stato un modus operandi per schermare il rientro in Italia di una sostanziosa cifra.
Secondo quanto riporta il quotidiano La Stampa, la procura di Milano sta cercando di capire esattamente la regolarità dell’intera operazione. In gran segreto, nei giorni scorsi, i pm hanno avviato un’inchiesta che tra le varie ipotesi comporta anche verifiche sul reato di riciclaggio, certamente un problema per Silvio Berlusconi in questo periodo di campagna elettorale. Il faro acceso dalla procura vede in prima linea il procuratore aggiunto Fabio de Pasquale.
Un iter discusso, come si diceva: un passaggio di consegne del Milan, dopo anni di successi sotto la presidenza berlusconiana, travagliato e infinito. Per sgombrare il campo da equivoci e voci che si rincorrevano, l’estate scorsa era stato l’avvocato storico dell’ex Cavaliere, Niccolò Ghedini, a consegnare in procura i documenti per attestare la regolare provenienza del denaro cinese («lecita provenienza di fondi», l’esatta dizione del documento ufficiale passato al vaglio di esperti di finanza).
Alla base dell’apertura dell’inchiesta avvenuta poche settimane fa, ci sarebbero nuovi documenti che dimostrerebbero esattamente il contrario. Da dove sia partita la svolta, al momento non è ancora chiaro. Una traccia, si deduce, che risalirebbe ai reali flussi di denaro partiti da Hong Kong. Di certo, ci sono elementi nuovi che smentirebbero la regolarità di una bella fetta dell’operazione.
Una cifra monstre quella ufficializzata nell’aprile scorso: 740 milioni di euro, pagati in due tranche e con la copertura dei debiti. Monstre perché fino al passaggio di proprietà, il Milan era reduce da diversi campionati deludenti, campagne acquisti sotto tono rispetto ai suoi standard, continui cambi di allenatori in panchina. Campioni venduti e sostituiti con seconde linee o giovani promesse. Da anni, l’ex Cavaliereaveva dichiarato pubblicamente di voler abdicare, «a malincuore», lasciare quell’amore che gli aveva regalato molti successi sportivi, in Italia e all’estero. Il primo a farsi sotto era stato lo sconosciuto broker thailandese, Bee Taechaubol. Addirittura 960 i milioni che l’uomo sarebbe stato disposto a versare nelle casse Fininvest. Poi, di mese in mese, la trattativa si era misteriosamente arenata dopo due anni di annunci roboanti, presentazioni in alberghi di lusso di Milano. L’advisor che seguiva il broker nella trattativa, la società finanziaria ticinese, Tax &Finance, era finita nel mirino di un’inchiesta milanese per una frode fiscale a molti zeri. Un socio fondatore era finito in carcere con l’accusa di aver creato strutture finanziarie per permettere ai propri clienti di eludere il fisco. Nelle carte della Finanza, c’era anche il nome di «Mr Bee» per alcune telefonate che parlavano dell’imminente passaggio della maggioranza del Milan.
Bee, dopo un paio di comunicati ufficiali, si era eclissato senza spiegazioni credibili («l’acquisizione si è arenata per le cattive condizioni di salute di Berlusconi», la laconica giustificazione di Bee).
(Fonte: Emilio Randacio, La Stampa 13/1/18)
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