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Il gioco dell’oca giudiziario, tentato con rogatorie internazionali schiantatesi nelle laconiche risposte asiatiche, ha ricostruito che in cima alle catene societarie (spesso alle Isole Vergini) finanziatrici di tre caparre di 100, 100 e 50 milioni, o dei 140 e 25 milioni nel closing, c’erano o società della danarosa moglie del terzultimo proprietario del Milan prima di Elliott e RedBird; o istituti in teoria solidi come la banca di investimenti Huarong di Hong Kong, dietro cui però non si ha idea di chi si celasse. «Pur a fronte di un’evidente opacità delle operazioni che hanno portato all’acquisto del Milan con l’intervento di numerosi istituti bancari esteri e fondi off shore, e senza che in molti casi sia chiaro chi fosse il “beneficial owner” dei fondi usati per l’acquisto», la Procura scrive che il falso in bilancio non è contestabile a Li Yonghong, che «disponeva di un’indubbia consistenza patrimoniale e senz’altro poteva fare affidamento (come in effetti avvenuto) su ampie risorse finanziarie».
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