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Stupito dalla conferma di Massimiliano Allegri in panchina?
«No, ma in generale non mi piace entrare in queste dinamiche. Ad un certo punto ha fatto quello che poteva, all'inizio poteva fare meglio, ma parliamo sempre di un allenatore che merita il massimo rispetto».
Cosa significa far parte della Juventus?
«Il mio caso è un po' particolare, perché io ero juventino da bambino. La Juventus era la mia aspirazione massima. Prima di andare a Torino ho fatto un po' di giri d'Italia, ma per me la maglia bianconera era un traguardo. Non era solo un punto di partenza, ma d'arrivo. Poi, certo, bisogna conquistarsi credito anno dopo anno. Era così ai miei tempi ed è così anche adesso».
Cos'ha di differente la Juventus dalle altre società?
«Diventare un giocatore o un allenatore della Juventus significa sposare una causa, è come un patto di sangue. Organizzazione, disciplina e comportamenti corretti sono la norma. Prima il club costruisce l'uomo, poi il calciatore. Riprendere in mano questi dettami sarebbe importante anche oggi, in una Juventus che dall'anno prossimo ripartirà da tanti ragazzi giovani».
Cosa augura al nuovo corso bianconero?
«Di riprendersi presto i palcoscenici più importanti, a partire dalla Champions League: non partecipare ad una competizione così sarà un peso l’anno prossimo. Ma sarà un momento utile per pianificare un nuovo ciclo: la Juventus è sempre risorta dalle proprie ceneri. Lo farà anche stavolta, anche perché non si può sempre vincere».
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