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Gli ha parlato?
«Non adesso, troppa confusione in ospedale e non è il caso di affaticarlo. Presto lo incontrerò. L’avevo conosciuto a Marsiglia in estate, l’Under 21 aveva un’amichevole. È molto più maturo della sua età come uomo e come giocatore».
Cosa gli dirà?
«Di stare tranquillo e di pensare al meglio, non al peggio. Il peggio è passato. C’è chi non ce l’ha fatta, Curi, Foe, Morosini, lui sì. Eriksen ha ricominciato, è un miracolato, ora gioca come prima. Gli racconterò la mia esperienza, lo tranquillizzerò, se posso. Capisco che si ripeterà la domanda “perché è successo a me? perché?”, però deve andare oltre. Importante è capire le cause, perché non si ripeta il malore».
Cosa è stato importante per il recupero psicologico?
«Tutti quelli che ti vogliono bene. La squadra, i compagni, i tifosi, e naturalmente la famiglia. Mia moglie Rita, mio figlio Alessandro che aveva un anno e mezzo. Mi hanno aiutato a rinascere».
Pensa che oggi si giochi troppo?
«Ci sono più partite, un po’ di superlavoro, però c’è tanto turnover. Se n’è parlato e non c’è nessuna prova che casi del genere siano con seguenza della fatica. Sono sempre successi».
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