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Ho capito, ma a qualcuno ti sarai pure ispirato in quarant’anni.
«All’inizio guardavo con curiosità e ammirazione Sacchi, Orrico, Maifredi. Poi le ispirazioni me le sono fatte venire da solo».
Snobbi anche Guardiola?
«Un fuoriclasse, come Maradona, due portatori di creatività, ma anche inimitabili, fuori concorso. Io amo innamorarmi della mia squadra e adotto la strategia militare. Cerco di fare il massimo per ottenere il massimo da chi alleno, non sono né mago, né filosofo. Quando mi sono presentato a Pescara era in atto una contestazione fortissima, roba da mettersi le mani nei capelli. Sono arrivati tre giocatori, uno dei quali si è rotto il crociato e l’abbiamo perso. Piccoli ritocchi, ho tagliato chi non era convinto e adesso le cose girano bene».
Qual è stato il giocatore più forte che hai allenato?
«Di Natale. Con me ha imparato a stare nella squadra. Più tardi a Udine non si allenava con gli altri il mercoledì, lui e Sanchez prendevano un portiere e affinavano il tiro. Totò me l’ha confermato, con me non sarebbe stato possibile. Avrei rinunciato a un capocannoniere per rispetto del gruppo».
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