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Barella: “Avevo perso passione per il calcio, i compagni mi fanno sentire Dio. Quel saluto ai milanisti…”

Marco Astori Redattore 

La passione per il pallone è la stessa?

"Rimane una passione sicuramente, rimane un gioco prima di essere un lavoro: mi ha dato tanto e la possibilità di far vivere la mia famiglia in un certo modo ma resta una passione. Ci sono delle cose non piacevoli anche nel calcio: ci sono le critiche, i social che spingono la gente a dire cose che prima si dicevano al bar. Questo diventa un impegno per la testa, magari ti porti a casa i malumori: è una cosa che nella vita del giocatore conta. Resta una passione ma poi diventa un lavoro con la sua bellezza e le sue difficoltà".

Che ricordi hai di quando eri ragazzo?

"I sacrifici li facevano i miei genitori, quello che io faccio per i miei figli: se io ora sono un padre è anche grazie a loro. Non è stato un peso ma una cosa bella: ho coltivato tante amicizie e sono stato anni con compagni che sono diventati amici. Posso solo dire grazie al calcio e mi sono divertito da morire: da grandi è un altro percorso, è più impegnativo".

Quando hai capito che sarebbe potuto essere un lavoro?

"Non so se c'è un momento, ma forse le prime convocazioni in nazionale: conosco tantissimi che non ce l'hanno fatta, giocatori che sembravano fenomeni. Quando ho fatto il salto dalla Primavera del Cagliari alla prima squadra non ero pronto, ma iniziavo a pensare di poterci stare. Magari in quel momento non pensavo di diventare un giocatore dell'Inter e della Nazionale: ci ho sempre creduto e lavorato per farcela, ma lì solo mettere la maglia del Cagliari era una roba folle. Sono pochi i giocatori che arrivano e sono pronti: tutti hanno bisogno di tempo e di maturare, fare esperienza è la cosa che ti insegna di più".

Perché alcuni ce la fanno e altri no?

"Ho vissuto tante situazioni, ci sono tanti motivi. I miei giocatori hanno fatto sacrifici per portarmi a giocare, magari altri non potevano o non avevano tempo. Ci sono di mezzo gli infortuni, la forza mentale, se sei pronto ad allontanarsi da casa: andare via dalla Sardegna a 13 anni è difficile, noi siamo molto legati alla terra. Da fuori è difficile capirlo, ma ci sono tanti fattori: la forza interiore che devi trovare deve aiutarti a fare la scelta giusta. Non tutti le hanno fatte. Io parlo non di colpe, ma di cose che possono succedere: poi c'è anche chi ha avuto la presunzione di non dover dimostrare niente a nessuno, lì è giusto che paghi".

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