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Barella: “Avevo perso passione per il calcio, i compagni mi fanno sentire Dio. Quel saluto ai milanisti…”

Marco Astori Redattore 

Qual è la tua caratteristica più sarda?

"Il fatto di essere molto tosto e duro nelle idee e nel modo di essere. Io non mi vendo, non dimostro cosa non sono: posso anche stare antipatico ma perché sono così veramente. Questo me lo riconosco, non ho problemi. Non tutti accettano il mio modo di essere, anche io sto cercando di limare il carattere: preferisco sbagliare davanti a tutti rispetto a nascondermi".

Che Nicolò è quello di oggi?

"Sono cambiato tantissimo: essendo molto duro, mi piaceva litigare e fare le guerre e cose che non facevano bene a me e agli altri. Volevo trovare problemi che non esistevano e mi facevano dei film: ora sono molto più sereno, anche in campo. Sono cambiato, come nella vita: stare con la mia famiglia mi ha insegnato che ci sono problemi più grandi, mi hanno fatto capire che il calcio è importante ma c'è altro. Il pensiero di una persona può essere importante ma rimane là: pensa quello che vuoi, poi chiudo la porta di casa mia e lì ci sono le soddisfazioni della vita".

Come hai lavorato sul comportamento in campo?

"Sono cresciuto, anche come età: ho più esperienza e so come gestire le cose. Sono meno impulsivo e cerco di divertimi di più: prima ero chiuso in me stesso. Ora non ho più voglia di vivere così, mi diverto e mi godo la fortuna che ho: anche in campo ho portato questo. Prima volevo solo dimostrare, ora se una partita posso mi metto da parte e aiuto i compagni anche senza gol e assist: l'anno scorso ho fatto due gol ed è stato l'anno in cui sono stato più contento nella mia vita".

Riesci ad entrare in campo e ricordati che è sempre un gioco?

"E' faticoso perché rimane il nostro palcoscenico e il momento di dimostrare che siamo forti: tu vuoi andare lì e dimostrare. E' difficile dire che è un gioco. Poi ci sono tante componenti: l'adrenalina dell'urlo di San Siro e dell'inno della Nazionale. Diventa una sfida che resta un gioco, ma è il tuo momento in cui puoi esprimerti. A me piace esprimermi in campo: spesso sbaglio e spesso faccio bene, ma è il nostro momento. Magari faccio in campo qualcosa che non farei mai fuori: do un calcio all'avversario, non vado in giro a dare calci alla gente, ma in campo sei in un momento di adrenalina e pensi di voler vincere. Poi ai miei figli dirò di interpretare lo sport come un gioco: poi se sbaglieranno, io lo capirò perché l'ho vissuto".

Come ti poni con chi ti dice che sei il più forte?

"A me non interessa perché c'è chi dice che sono il più forte ma anche chi dice che sono scarso: non mi tocca. La cosa che mi rende orgoglioso è quando un avversario mi fa capire anche in campo che sono forte: lì mi sento orgoglioso. I miei compagni mi fanno sentire Dio, ma c'è anche l'amicizia e il rispetto e questo condiziona: quando riesci a pensare questo dell'avversario, vuol dire che lo pensi veramente. Quando mi è stato riconosciuto mi ha fatto molto piacere: c'è chi ha voluto la mia maglia, anche giocatori forti".

Alla fine del derby della Seconda Stella, tu sei andato a salutare i giocatori del Milan.

"Sì, chi era rimasto: molti erano entrati subito dentro. Io mi sono sentito di dargli la mano, l'ha fatto anche qualcun altro. Io l'ho fatto perché so cosa vuol dire: ho perso una finale europea Under-19, ho lasciato un Mondiale perché mi sono rotto la mano e siamo arrivati terzi. Sono retrocesso col Cagliari e col Como, ho perso una finale di Champions ed Europa League: so cosa vuol dire perdere. Ho vinto tanto, ma è molto più facile spiegare cosa vuol dire vincere: perdere non sai cosa comporta dopo, ti fai un'estate brutta, pensi che non rigiocherai mai più una finale o un campionato così. Tante cose ti entrano in testa: io avrei voluto vincere tutto, ma perdere è uno stimolo per riprovarci. Per molti non è così, è molto più difficile immagazzinare la sconfitta: io so cosa vuol dire perdere e cosa succede nella testa di un giocatore, può anche crearti problemi a casa perché non ci sei con la testa. Sono cose che condizionano: il tifoso non ci pensa ed è giusto, ma ci sono tante situazioni che creano disagio".

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