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Barella: “Avevo perso passione per il calcio, i compagni mi fanno sentire Dio. Quel saluto ai milanisti…”

Marco Astori Redattore 

Quali sono i dettagli che i tifosi fanno fatica a capire?

"Il tifoso logicamente non può sapere tante cose: se giochi male, non è che lo vuoi. Ci sta che hai avuto un problema in settimana, anche nella vita privata: puoi aver avuto la giornata no. Dire che devi fare bene perché vali 100 milioni, allora giocavi a tennis: il calcio è uno sport di squadra. Se tu perdi non puoi essere solo tu il problema: il tifoso fa fatica a capirla perché vuole che la squadra vinca. Noi in campo vogliamo vincere, ma ci sono situazioni che non puoi controllare: la critica ci sta, va bene, però non accetto mettere in mezzo la vita privata e la famiglia, perché non sai quella persona cosa sta vivendo. E' una roba che mi dà fastidio, coi social tutti possono esprimere il pensiero e rimane: e noi siamo umani e quando una critica è rivolta alla persona e non al calciatore, è diverso. L'uomo dovrebbe essere rispettato".

Sapere che vali tanto come cartellino è un peso?

"Io sono arrivato da Cagliari come il giocatore più pagato della storia dell'Inter prima che arrivasse Lukaku: ovviamente crei aspettative. Io la vivevo serenamente, in quel momento ho scelto la squadra migliore per me ed era solo felicità. Stavo lasciando tutto ma ero felice per fare uno step in più: per molti può essere un problema. Io ho 27 anni e spero di vincere. di più, ma mi sono realizzato: costare 100 o 30 non mi cambia niente. Cambia la valutazione della gente, ma se gioco male gioco male se costo 100 o gratis. Io non do peso, ma ho conosciuto compagni e giocatori sui quali questo fatto del cartellino ha pesato tanto perché la gente si sente in diritto di criticare".

L'aspetto psicologico?

"Da quando ho iniziato a giocare, si è andati molto avanti: prima il calciatore era l'eroe senza problemi e non poteva averli. Ora viviamo in un mondo in cui è più facile parlare, puoi far capire in che momento sei e questo aiuta: prima per parlare col calciatore dovevi incontrarlo al ristorante. Ora puoi avere un contatto diretto su Instagram: questo è un modo di sentirti più normale che apprezzo molto: poter fare la passeggiata o parlare con uno che mi chiede la foto, mi fa sentire meno eroe e meno solo. A volte ci si sente soli coi problemi e devi risolverteli: ora io apprezzo che i tifosi parlano con rispetto e questo ti fa sentire normale. La testa fa tanto e il fatto che ci siano figure con cui confrontarti ti aiuta ad esprimerti: è uno step molto importante".

Quando ti sei sentito solo?

"Ad inizio anno, quando tutti mi criticavano e dicevano che non ero lo stesso Nicolò: non rendevo per questioni mie personali e perché era un momento in cui non avevo una grande passione per il calcio, era solo lavoro. Io non ho mai parlato perché ho una moglie: ho parlato con lei, amici e compagni: e loro in quel momento mi hanno fatto sentire come fosse un momento normale che dovevo solo superare. Poi è arrivato il gol col Napoli e da lì ho ripreso: non mi sono sentito solo, ma avvertivo di non aiutare loro come ho sempre fatto. Non mi sentivo inutile, ma non davo quello che dovevo e volevo: loro mi hanno fatto stare tranquillo e il momento è passato. Ora so come comportarmi se succede ad altri".

La passione può calare?

"Sì. Non è che ti va via, molte cose magari diventano pesanti: il ritiro, andare all'allenamento, fare le corse. Però se ti viene a 26 anni è un problema. A me è venuto ed ero spaventato: è difficile parlarne, molto. Ma succede spesso e a tutti i livelli: poi chi gioca a livelli più bassi può dire che non può smettere perché non ha abbastanza soldi. Io se decido di smettere, posso vivere uguale: ma sarebbe troppo facile dire basta, ma sono momenti difficili in cui se non hai i compagni giusti, la famiglia e la società giusta, fai fatica".

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