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Barella: “Avevo perso passione per il calcio, i compagni mi fanno sentire Dio. Quel saluto ai milanisti…”

Marco Astori Redattore 

Qual è il ricordo di una partita più bello che hai?

"Il gol di Napoli è stato molto importante per me in un momento difficile. Una partita che mi è piaciuta un sacco, è stata la finale di Coppa Italia contro la Juve vinta 4-2: ho fatto gol dopo 7 minuti e pensavi fosse finita, eravamo talmente forti... Poi nel secondo tempo loro hanno fatto due gol ma mi sono divertito perché ho capito veramente la forza mentale di tanti campioni: i miei compagni si sono accesi e hanno detto "basta giocare, bisogna vincere". Me la ricorderò sempre, è come se la squadra si fosse accesa. Ed è successo anche l'anno dopo contro la Fiorentina: è bello perché capisci la forza di una squadra e di un giocatore e capisci perché uno resta al top".

Quando l'allenatore urla delle cose, voi le sentite e le capite?

"Si sente. A San Siro con 80mila persone è più difficile, ma se ti concentri c'è il modo di capire: un allenatore legge la partita ma è molto istintivo. Tu quindi le prendi, ma in campo sei tu che decidi: puoi cambiare la partita all'intervallo o al cooling break, in campo è difficile arrivi l'indicazione che cambia la partita.

Che posto è San Siro?

"Ho giocato in stadi bellissimi, Wembley è incredibile, ma San Siro ha un fascino diverso. L'unico che mi ha fatto quest'effetto è il Camp Nou, ma è più aperto: a San Siro ti chiudi nella tua arena ed è bellissimo".

Come ti sei avvicinato all'Inter?

"Io sono sempre stato un grande tifoso del Cagliari, era il mio sogno. Ho tanti parenti e amici tifosi dell'Inter e quindi ho gioito con loro delle vittorie dell'Inter. Per me è sempre stata tra le grandi quella per cui ho sempre simpatizzato: mi è sempre piaciuta la storia e i colori. Quando l'Inter vinceva, ero felice come fosse il Cagliari. Cagliari è casa ed è nel mio cuore, l'Inter ci è entrata: ho avuto tante opportunità per andare via da Cagliari, più di un paio di squadre importanti che non direi mai, ma ho scelto perché per rispetto del tifoso non sarei potuto andare in alcuni club. Ho avuto offerte anche a gennaio e ho scelto io di non andare fino a che non ci saremmo salvati. Poi quando sono andato via la narrazione è stata distorta: ma non c'è problema. Mi spiace sia stata raccontata in maniera sbagliata ma va bene. Quando è arrivata la possibilità dell'Inter, io volevo quel progetto con un allenatore che ha spinto per avermi: non avevo nessun dubbio. Era uno step troppo grande da non fare. Ringrazio tutti i giorni chi ha fatto sì che io potessi vestire questa maglia, sono orgoglioso come fosse mia".

Come ti ha accolto Milano?

"In modo super. Ha accolto me, la mia famiglia sta benissimo: la bellezza di Milano è che puoi avere tutto senza essere dispersivo. Hai tutto in poco spazio ed è impagabile: posso scegliere cosa fare ogni momento, riesco a vivere come sono io. Poi con la gente e anche col tifoso milanista ho sempre ricevuto stima e rispetto".

Voi giocatori percepite che c'è meno affetto per il calcio dai giovani?

"Per noi è diverso perché ad esempio negli aeroporti ti trovi i tifosi, fuori da San Siro ci sono 50mila persone e poi dentro 80mila: non viviamo questa cosa. Capisco che il calcio è diventato anche molto di elite: devi avere abbonamenti e non tutti possono farlo, lo stadio è diventato più costoso. Posso capirlo: noi siamo fuori da queste dinamiche purtroppo. Io non seguo tanto calcio: l'anno scorso che siamo usciti dalla Champions ho guardato le partite rosicando perché mi piace vedere il livello degli altri, ma non ho più quella passione che avevo da bambino, non ce la faccio più a guardare tutta la giornata".

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