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Berti: “Feste, alcol il giusto, la fuga con Eriksson e il no a Berlusconi. E i milanisti inventarono che…”

Marco Astori Redattore 

Le malelingue dicevano: «Berti esce e beve». E oggi?

«Come allora: bevo il giusto».

Ha mai pensato: avessi fumato o bevuto meno, avrei vinto di più?

«No, perché non ho mai esagerato. Cioè, una sera fatta bene ogni tanto la facevo. Ma una ogni tanto».

Del resto non tutti abitavano in Piazza Liberty.

«Milano era bellissima, anche se oggi è troppo incasinata e sto bene in centro a Piacenza. In quell’appartamento sono rimasto nove anni: duecentocinquanta metri quadri, con terrazza sul Duomo, se i muri potessero parlare... Ma appunto, non è che si faceva festa tutti i giorni, anche perché organizzare per cento persone non era una cosa così semplice. Il festaiolo ero sempre io, ma c’erano tanti compagni e tanti milanisti. Veniva anche Vialli da Torino».

Tra le sue frasi celebri c’è questa: «Sono antipatico perché la gente non sopporta di vedere uno che si diverte». Che ne pensa?

«Vale ancora oggi. Anche ai miei compagni davo un po’ fastidio a volte, perché guadagnavo tanto, sorridevo sempre, e mi permettevo di andare a bere una birra al pub, anche due. E qualche volte è capitato che alla domenica sbagliassi la partita».

Per lei, a differenza di altri, il calcio era una festa?

«Il giorno del derby lo zio Bergomi era tutto incupito perché doveva marcare Van Basten e ogni tanto lo prendo ancora in giro per questo. Io non vedevo l’ora di trovarmi davanti a quella folla: San Siro per me era la gioia assoluta».

Ogni tanto gliela facevano pagare?

«Per scherzo mi hanno bruciato un paio di scarpe da squash a cui tenevo molto. Le avevo indossate per due mesi di fila: l’ideatore fu Pagliuca».