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Capello: “Italiane, copiato Guardiola 10 anni dopo. L’Inter dei titolari è tutt’altra storia”

Alessandro Cosattini Redattore 
Fabio Capello parla alla Gazzetta dello Sport dopo gli impegni delle italiane in Europa di questa settimana: il suo pensiero sull'Inter

Fabio Capello parla alla Gazzetta dello Sport dopo gli impegni delle italiane in Europa di questa settimana. «All’estero corrono, pressano e vanno in verticale. E un ritmo così serrato le italiane lo soffrono, lo abbiamo visto nelle ultime partite di Champions...».

Scusi Capello, ma non eravamo maestri nel pressare e andare in verticale?

«Eravamo, appunto. Poi...»

Che cosa è successo?

«Abbiamo iniziato a copiare Guardiola, ma con un ritardo di dieci anni, e i risultati sono questi. Andiamo più piano degli altri, il nostro possesso palla è spesso sterile, il pallone gira piano e male, abbiamo poca concretezza. È una strada che non ci ha portato da nessuna parte all’Europeo, e rischia di fare danni anche nelle Coppe. Eppure è chiaro dove va il calcio: persino la Spagna ha accantonato il possesso a tutti i costi per cercare la verticalità, ed è così che ha vinto l’Europeo. E il City di Guardiola tiene palla, sì, ma lo fa nella metà campo avversaria, non davanti alla propria area come succede in Serie A...».

È solo una questione di stile di gioco o c’entra la tenuta fisica?

«Il punto è l’intensità. Le squadre italiane, in Champions, vanno troppo piano perché sono abituate al ritmo della Serie A. Dopo la sconfitta del Bologna in casa dell’Aston Villa, ho chiesto a Italiano che impressione gli avevano fatto le due inglesi affrontate subito, Aston Villa appunto e Liverpool. Mi ha risposto: “Corrono, vanno più forte, hanno un altro passo”. Andate a vedere le partite di Zirkzee in Premier League e ditemi se vi sembra lo stesso giocatore che abbiamo ammirato a Bologna: in Italia faceva quello che voleva, in Inghilterra non ha nemmeno il tempo di pensare alla giocata che gli hanno già soffiato il pallone. Ecco, alle nostre squadre succede più o meno la stessa cosa».

Lei ha parlato di partite troppo spezzettate in Serie A.

«È così. Vedo continuamente giocatori che restano a lungo a terra dopo qualunque tipo di contrasto, e se l’arbitro prova a “velocizzare” protestano tutti, spettatori inclusi. Fuori dai nostri confini non funziona allo stesso modo, e in Champions succede che grandi squadre come la Juve, il Milan o l’Inter finiscano per subire l’intensità delle avversarie, anche se magari hanno meno qualità. Occorre abbandonare questa cattiva abitudine, bisogna cambiare il chip nella testa dei nostri giocatori. Se in A domini giocando all’80 per cento dell’intensità, quando poi si sale al 100, come accade in Champions, non riesci a incidere come vorresti».


Un esempio?

«A livello individuale mi viene in mente Theo Hernandez: contro il Bruges non ha mai cambiato passo, le accelerazioni alle quali ci ha abituati in Italia sono mancate. Dovendo scegliere una squadra dico la Juventus: mi aveva sorpreso in positivo tra Psv e Lipsia, ma con lo Stoccarda è mancata in tutto. Ho visto una squadra con poca qualità, succube dell’avversario, dal primo all’ultimo minuto. A Lilla, nel prossimo turno, servirà un’altra Juve: i francesi corrono...».

L’Inter ha faticato in casa del modesto Young Boys, ma alla fine è arrivato Thuram...

«Perché con i titolari in campo è tutta un’altra storia. Quando Inzaghi ha inserito il francese, Lautaro, Dimarco, Bastoni, l’Inter ha fatto quello che fanno le big d’Europa: recupero palla veloce e avanti in verticale in cinque. E ha vinto. Per qualità dei giocatori e mentalità è nettamente al di sopra di tutte le altre italiane, con l’Arsenal sarà una bella sfida anche perché la squadra di Arteta è meno aggressiva di altre inglesi».

Non a caso ha sofferto al debutto con l’Atalanta.

«Una realtà che non scopriamo certo oggi: l’Atalanta è aggressiva e intensa come richiede la Champions. Contro il Celtic ha avuto solo sfortuna».

Il Milan ha vinto la sua prima partita.

«Ma ha comunque sofferto il Bruges, e ha incassato la rete del momentaneo 1-1 in superiorità numerica. Il problema qui è anche di organizzazione, il Milan è una squadra che dietro, a quei ritmi, lascia passare chiunque. Il 5 novembre sarò al Bernabeu, contro il Real sarà durissima: l’altra sera hanno lasciato l’auto parcheggiata fuori per un tempo, poi hanno acceso i motori e col Dortmund non c’è stata partita. Il Milan dovrà tirare fuori una prestazione super. Forse, paradossalmente, il fatto che il Madrid si senta così forte può aiutare, magari possono sottovalutare gli uomini di Fonseca. Anche se Ancelotti non è Cruijff...».