Dopo l'addio al calcio, l'ex centrocamp. ista dell'Inter Felipe Melo ha raccontato di voler intraprendere la carriera d'allenatore. Queste le sue parole a La Gazzetta dello Sport


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Felipe Melo: “Sogno di allenare l’Inter. Non volevo andare alla Juve, volevo subito i nerazzurri”
In Italia ha vissuto tre vite. La prima: Firenze.
«Venivo da un campionato super, io e Xavi eravamo i migliori centrocampisti della Liga, e già quando mi hanno chiamato perché c’era la possibilità di andare a Firenze ho pianto di gioia. In due mesi mi sono innamorato: quella maglia, quella gente, il Franchi... Pensi, lì è nata mia figlia Pietra, la principessa di casa. Un anno solo, ma a ripensarci sembrano cinque. Mi spiace solo che quando sono andato alla Juve l’amore che il popolo viola provava per me è sparito. Forse non ha mai capito cos’è successo».
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Cos’è successo?
«Che alla Juve sono dovuto andare per forza. Io volevo andare all’Inter, mi aveva chiesto Mourinho, ma offrivano sui 20 milioni. Io avevo la clausola, 25 milioni: la Juve pagò quella e ci mise pure Marchionni che era un giocatore importante. Cosa potevo fare?».
Seconda vita italiana: Juve.
«Una squadra in ricostruzione, grandissimi giocatori ma la gente si aspettava molto più di quanto potessimo dare. In entrambi i miei anni iniziammo bene, poi gli infortuni ci tagliarono le gambe. Nel secondo anno arrivarono un paio di giocatori, Lanzafame e un altro, per giocare soltanto una partita... Non era mica facile, e io all’epoca ero un ragazzino. Ma sono contento, alla Juve ho giocato con giganti come Buffon, Cannavaro, Del Piero, Trezeguet, Camoranesi, per me è stata una magia che oggi posso raccontare ai miei figli. E sono cresciuto tantissimo».
Chiellini nel suo libro la definì “mela marcia”. Ormai è acqua passata, ma le è dispiaciuto?
«Chiellini è stato un grandissimo, aveva solo il vizio di tenere sempre le braccia larghe... Quando lo fece con me gli dissi: “Se lo fai di nuovo ti spacco”. Questo è successo. Poi lui era il numero uno dei professionisti, e io ancora non lo ero. Del suo libro francamente non me ne frega un c..., io ho preso la mia strada e lui la sua. Ma se lo incontro, lo saluto volentieri».
Poi la terza vita in Italia: l’Inter.
«Mi dispiace solo esserci stato poco, il secondo anno è arrivato quell’olandese che capiva poco di calcio e non parlava italiano, meno male che poi Pioli ha raddrizzato la baracca. L’Inter è il mio sogno da bambino, per andarci ho rinunciato a un sacco di soldi, avevo appena rinnovato al Galatasaray, e all’idolatria che quel popolo nutriva per me. Non c’è nemmeno da pensarci: Mancio mi manda un messaggio “Dai, vieni da noi”, e non posso dire di no. Arrivo prima del derby senza nemmeno passare dal ritiro, gioco, do tutto, vinciamo, i cori per me... meraviglioso».
Ha qualche rimpianto in carriera?
«Tantissimi! Ho sbagliato in tutti i club, ma solo Gesù Cristo non ha sbagliato mai. Ogni errore ti migliora, come uomo e come giocatore, e se sono arrivato fino a 41 anni in campo è stato grazie a quello che ho imparato sbagliando».
Cosa farà ora che ha smesso di giocare?
«L’allenatore. Ho fatto il corso di base, tra un anno avrò il patentino. A chi mi ispiro? Mi piace Thiago Motta, ma sarò uno alla Mancini. Ho già lo staff pronto. E se mi chiede se voglio allenare l’Inter tra qualche anno, le rispondo che ci metto la firma» .
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