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Galeone: “Scudetto, dico Inter. Nico Paz forte forte. Oggi ci sono analfabeti che…”

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Intervistato dal Corriere della Sera, il tecnico dice la sua sul calcio moderno e sulla lotta scudetto
Gianni Pampinella Redattore 

Giovanni Galeone non apprezza la costruzione dal basso. Se fosse ancora in panchina, il tecnico faticosamente riuscirebbe a digerire alcuni concetti del calcio di oggi. "Mi salterebbero le coronarie se un mio difensore toccasse la palla all’indietro verso il portiere. Un autogol come quello del Napoli a Como mi avrebbe ucciso. Ma è mai possibile? ‘Sta palla sempre indietro, ‘sta partenza dal basso. Ma basta, fatela finita. La Fifa dovrebbe fare come nel basket: 10 secondi per superare la metà campo. Ma tanto poi superata quella sarebbe la stessa storia, solo passaggi inutili. C’è anche un problema di concentrazione: un gol come il secondo contro la Germania nemmeno all’oratorio", le parole del tecnico intervistato dal Corriere della Sera.

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«Le partite al 90% sono di una noia mortale. Batti un calcio d’angolo e dopo tre passaggi, sei di nuovo dal tuo portiere. Tutte geometrie senza fantasia. Così il calcio non è nulla. I ragazzini che giocano a pallone non si divertono più. Gli insegnano gli schemi e non sanno più stoppare una palla, palleggiare, saltare l’uomo. Chi ci riesce ancora andrebbe protetto dal Wwf: sono esemplari in via d’estinzione».


Invece ai suoi tempi…

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«Alt: non voglio fare il vecchio rimbambito. Non è così mica ovunque. In Spagna difendono l’identità, puntano anche sui giovani. E infatti vincono. Qui vedi una partita di serie C e poi cambi su una di serie A e — tranne qualche eccezione — è tutto uguale, omologato, senza emozioni. No, non mi piace ‘sto calcio. Quarant’anni fa, anche senza vincere nulla, il mio Pescara divertiva. Durò poco, perché davanti c’erano le vere corrazzate. Ma avevamo un’idea, giocatori giovani che erano felici. E si vedeva. Il mio scudetto? Presto detto: l’ho vinto in un ristorante di Napoli».

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Come scusi?

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«Non millanto, ci sono i testimoni. A tavola, dopo una partita, viene da me Diego Armando Maradona e mi dice: lei deve venire qui e allenare il Napoli. Se non è uno scudetto quello».

Giusto. Ma poi a Napoli non ci andò...

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«Moggi continuava a dirmi: Giovanni non firmare eh, mi raccomando. Mandiamo via l’allenatore (Bianchi ndr) e vieni tu. E io che prendevo tempo con l’ingegner Viola che aveva il contratto pronto per la Roma. Tira e molla, tira e molla, alla fine salta la Roma — giustamente si stufarono di aspettare — e al Napoli, caso più unico che raro, mandarono via i giocatori che non volevano l’allenatore. Forse l’unico rimpianto. No, anzi, ce n’è un altro»

Dica pure.

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«A Vienna il Milan vince la seconda Champions, è il 1990. Invitato da Arrigo Sacchi vado a vedere i rossoneri che vincono e poi nell’hotel della festa conosco Berlusconi. Fino alle 5 del mattino a parlare di calcio. E mi fa: bene Galeone, mi chiami che dobbiamo proseguire questa chiacchierata. Mai alzato il telefono: speravo lo facesse lui. E così quel che poteva essere, non è stato. Ma la vita è andata avanti ed è stata anche una bella vita. Io di calcio parlavo con Gigi Riva, Fabio Capello. E Pier Paolo Pasolini che veniva a Grado l’estate a fare le sabbiature. Cose che ti restano dentro. C’era educazione, rispetto, cultura. Oggi ci sono analfabeti che pretendono la cattedra universitaria. E nel calcio è lo stesso. Vallo a spiegare a quelli del Milan: mandano via gente come Maldini e Massara — tra i più bravi in circolazione — e mettono Ibrahimovic. Grande calciatore, per carità. Ma che dirigente è? Che società è diventata quella rossonera? E di esempi ce ne sono mille».

Vabbè ma allora è tutto da buttare.

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«No. Il Como, per esempio, ha una proprietà straniera, ma si vede che ha una sua identità. A me Fabregas piace tantissimo. Nico Paz è forte forte. Però ci sono troppi giocatori che si sentono grandi e non lo sono. Montati e presuntuosi. Io ho visto Zico, dico Zico, restare al freddo di Udine dopo l’allenamento per un’ora da solo a calciare le punizioni contro la barriera di legno».

Chiarissimo. Ma chi vince lo scudetto?

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«Boh. Inter, certo. Il Napoli può lottare fino alla fine. Se ha fortuna anche l’Atalanta, ma è difficile. Poi stop, dietro male, male».

In che senso?

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«La Juve? Dico solo questo: dà un milione netto al mese a Vlahovic, forse l’unico giocatore slavo — e io me ne intendo, li adoro da 80 anni — che non sa stoppare una palla: non ci riesce proprio. Chissà ora vediamo con l’arrivo di Tudor. Del Milan ho già detto. La Roma? Dopo mesi hanno capito che serviva Ranieri. Adesso non devono sbagliare il prossimo allenatore».

Andrebbe bene il suo figlioccio Max Allegri?

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«Molto. E glielo auguro. Anche se sono stato arrabbiato con lui. Per un po’ mi ha chiamato e non mi andava di rispondere. Era diventato troppo pigro. Deve allenare, è bravissimo. Chissà, magari esagero. Magari non dipende solo da lui. Non arriva la chiamata giusta. Fossi stato il Milan, di corsa. Ma poi ci siamo sentiti e mi ha detto che non ci va. Ecco: alla Roma lo vedrei benissimo. Poi va a sapere. Io ‘sto calcio non lo capisco più».

(Corriere della Sera)