LEGGI ANCHE
© RIPRODUZIONE RISERVATA
news
Denzel. Come nasce il suo nome?
«I miei mi hanno chiamato così per Denzel Washington. Ci hanno preso.
È il mio attore preferito, sono fan di The Equalizer . Ed è uno degli uomini che più stimo. Non spreca una parola e passa messaggi positivi. È calmo e forte».
Le insegnanti a scuola dicevano che lei era “un bambino terribile”.
Esageravano?
«Avermi in classe non doveva essere facile. Ero rispettoso ma non riuscivo a stare fermo. Volevo giocare, saltare, lanciare, correre».
E le piaceva il Milan?
«Mi piaceva Clarence Seedorf, anche lui del Suriname. Lo tifavo ovunque giocasse, a partire dall’Inter. Un altro mio eroe era Maicon, giocatore meraviglioso. Uno dei migliori esterni di ogni tempo».
È arrivato in un club professionistico a 18 anni dopo diversi rifiuti, fra cui quello del Feyenoord.
«Ho avuto pazienza, lavorando duro. Sapevo qual era il mio sogno, fin da piccolo: la nazionale olandese».
Eppure, nelle giovanili, ha cominciato con la maglia di Aruba.
«Sarò sempre grato al Paese di cui è originario mio padre per quella possibilità. Ma il futuro lo vedevo arancione. Lo scrivevo a matita sui muri della mia cameretta, vicino a schemi di gioco e foto di campioni, fra cui il mio idolo Vincent Kompany. Copiavo sulle pareti frasi che mi davano forza. La mia preferita: un obiettivo senza un piano è solo un desiderio».
Al Mondiale 2022 ha partecipato alla rissa tra i giocatori di Olanda e Argentina.
«Troppe emozioni, troppa foga. A ripensarci oggi, l’Argentina ha meritato di vincere. Ma quel giorno la vedevo diversamente. Perdo raramente il controllo. L’ho imparato facendo kick boxing da ragazzino».
Era forte?
«Me la cavavo, ma in famiglia il modello era irraggiungibile. Due miei cugini sono atleti famosi, uno è stato campione del mondo. Li ammiro. Gli sport di combattimento sono duri. E non parlo delle botte. Nel momento della verità, sul ring, non c’è la squadra con te».