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Marcolin: “Inzaghi, il suo 3-5-2 è ultra offensivo. Guardate Dumfries: lo ha…inzagato!”

Andrea Della Sala Redattore 
Intervistato da La Gazzetta dello Sport, l'ex centrocampista ha parlato dell'ottimo momento dei nerazzurri e del lavoro del tecnico

Intervistato da La Gazzetta dello Sport, l'ex centrocampista Dario Marcolin ha parlato dell'ottimo momento dei nerazzurri e del lavoro del tecnico Simone Inzaghi:

«È come se, sotto ai miei occhi all’Olimpico, Simone abbia detto a tutta la compagnia: “Qui i favoriti siamo ancora noi”».

Marcolin, si potrebbe dire che è il miglior Inzaghi di sempre?

«Ha fatto un tremendo atto di forza, come l’anno scorso. La sua squadra si è mostrata spietata, ha dato l’idea di un autentico strapotere: non c’è dubbio che quella vista con la Lazio sia ancora la squadra da battere. Lo ripeto sempre a Simone, prima il 3-5-2 faceva pensare a qualcosa di bloccato, con lui è diventato un metodo offensivo, anzi ultra-offensivo. A me colpisce che i nerazzurri siano gli unici ad attaccare sempre con sei giocatori: due punte, due esterni, due mezzali e dietro ci sono Calha e anche Bastoni in regia».

Da quando è a Milano, Inzaghi in cosa è cresciuto di più?

«Nella capacità di trasferire il proprio pensiero ai giocatori, adesso all’Inter pensano tutti con una sola testa: ci sono soluzioni di gruppo senza perdere quelle individuali. Prendete, ad esempio, il gol di Dumfries di testa. Quella è una vittoria dell’allenatore perché prima l’olandese era solo un esterno a una dimensione e ora è un giocatore totale che fa tante cose. Simone lo ha migliorato, anzi lo ha proprio... “inzagato”».


E qual è la dote migliore di un allenatore capace di “inzagare” i suoi giocatori?

«Spiego meglio: soprattutto dopo aver vinto lo scudetto, Simone si sente proprio la squadra addosso. Oltre alla tecnica e alla tattica, il pregio è aver contaminato tutti con il proprio pensiero. E poi basterebbe soffermarsi sul linguaggio del corpo, sono dettagli di cui mi accorgo avendo fatto l’allenatore: lui è sempre sereno, concentrato ma sereno, grazie alla forza di ciò che ha costruito assieme alla società. Negli anni sono stati mandati via alcuni giocatori che mugugnavano, da Perisic a Brozovic, e i dirigenti gli hanno regalato un gruppo sano, poi lui fa remare tutti nella stessa direzione. Per questo me lo aspetto ancora a lungo su quella panchina, le sue radici solide dureranno anni. Perché cambiare?».

Manca qualcosa per l’ultimo salto in Europa?

«Ormai sei lì lì anche in Champions, hai fatto una finale e tutti ti collocano sempre tra le migliori. Spesso la Coppa, però, è un gioco di incastri: ti devono girare le cose oltre la tua bravura. In campionato, invece, sarà gara con Atalanta e Napoli, ma l’Inter con la Lazio ha lanciato un segnale fortissimo ricordando di essere la squadra da battere».

In questo contesto quasi perfetto colpisce, però, che tra i sei marcatori non ci sia Lautaro.

«Poi però vedi la sua prestazione e ti accorgi che al 90’ ancora pressava... Anche lui con la serenità di chi pensa prima alla squadra. Magari a gennaio ne farà 10 e tornerà in media, ma conta di più il fatto che sia davvero funzionale agli altri. Lui e Thuram sono come marito e moglie, si capiscono subito. Semmai il problema è che alle loro spalle ci sono attaccanti con caratteristiche diverse».

Se mai esiste, chi è il vero insostituibile nel sistema Inzaghi?

«Il professore, Mkhitaryan. Ha davvero il polso della squadra: è come se adesso parlasse già da allenatore e sono sicuro che un giorno lo farà davvero».