LEGGI ANCHE
E qual è la dote migliore di un allenatore capace di “inzagare” i suoi giocatori?
«Spiego meglio: soprattutto dopo aver vinto lo scudetto, Simone si sente proprio la squadra addosso. Oltre alla tecnica e alla tattica, il pregio è aver contaminato tutti con il proprio pensiero. E poi basterebbe soffermarsi sul linguaggio del corpo, sono dettagli di cui mi accorgo avendo fatto l’allenatore: lui è sempre sereno, concentrato ma sereno, grazie alla forza di ciò che ha costruito assieme alla società. Negli anni sono stati mandati via alcuni giocatori che mugugnavano, da Perisic a Brozovic, e i dirigenti gli hanno regalato un gruppo sano, poi lui fa remare tutti nella stessa direzione. Per questo me lo aspetto ancora a lungo su quella panchina, le sue radici solide dureranno anni. Perché cambiare?».
Manca qualcosa per l’ultimo salto in Europa?
«Ormai sei lì lì anche in Champions, hai fatto una finale e tutti ti collocano sempre tra le migliori. Spesso la Coppa, però, è un gioco di incastri: ti devono girare le cose oltre la tua bravura. In campionato, invece, sarà gara con Atalanta e Napoli, ma l’Inter con la Lazio ha lanciato un segnale fortissimo ricordando di essere la squadra da battere».
In questo contesto quasi perfetto colpisce, però, che tra i sei marcatori non ci sia Lautaro.
«Poi però vedi la sua prestazione e ti accorgi che al 90’ ancora pressava... Anche lui con la serenità di chi pensa prima alla squadra. Magari a gennaio ne farà 10 e tornerà in media, ma conta di più il fatto che sia davvero funzionale agli altri. Lui e Thuram sono come marito e moglie, si capiscono subito. Semmai il problema è che alle loro spalle ci sono attaccanti con caratteristiche diverse».
Se mai esiste, chi è il vero insostituibile nel sistema Inzaghi?
«Il professore, Mkhitaryan. Ha davvero il polso della squadra: è come se adesso parlasse già da allenatore e sono sicuro che un giorno lo farà davvero».
© RIPRODUZIONE RISERVATA