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Moriero: “Ronaldo a Mosca? Danzava sul pallone. E il post partita non fu proprio…sobrio”

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Intervistato da La Gazzetta dello Sport, l'ex giocatore dell'Inter Francesco Moriero ha ricordato i tempi di Ronaldo e quella storica trasferta a Mosca
Andrea Della Sala Redattore 

Intervistato da La Gazzetta dello Sport, l'ex giocatore dell'Inter Francesco Moriero ha ricordato i tempi di Ronaldo e quella storica trasferta a Mosca in quel campo fangoso:

«Non li appoggiava neanche: Ronnie giocò e fece quei due gol, anzi quel gol, quasi in punta di piedi. Come un ballerino». 


Ricorda, Moriero?

«E chi se lo scorda? Mai più giocato in un campo così. Eravamo partiti da Milano che faceva quasi caldo, tipo 20 gradi: a Mosca, sotto zero. Neve, ghiaccio, giravamo incappucciati. Andiamo a provare il campo e mi scende tutta la caviglia sotto il prato».

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E vi giocavate la finale di Coppa Uefa.

«Appunto. Ci guardiamo e diciamo: “E adesso, come cavolo facciamo a vincere ‘sta partita”? Per noi dribbling e uno contro uno erano importanti, soprattutto Ronie avrebbe fatto fatica a giocare il suo calcio, ma lui non diceva niente. Forse sapeva già che avrebbe inventato qualcosa».

E inventò, ah se inventò.

«Non so ancora come fece. Andiamo in campo per il riscaldamento e dopo 5’ torniamo dentro: congelati. L’abbiamo fatto nello spogliatoio, ognuno per sé. Entriamo in campo: avevo messo due magliette sotto la maglia da gara, paraorecchie, paracollo. Tutto inutile: piedi congelati, non riuscivo a correre su una melma fatta di fango, segatura e ghiaccio. Stadio strapieno, loro assatanati, segnano dopo dieci minuti. Simeone mi chiama: “Metti più cross che puoi”. “È una parola”, gli rispondo. Dai e ridai mi arriva un pallone sull’esterno, colpisco con la caviglia in freezer, il Cholo non ci arriva di testa ma ci arriva Ronie e però tutti corrono ad abbracciare me: ero riuscito a fare un cross...».

Non bastava.

«Ma bastava Ronaldo. In quella partita avrà toccato dieci palloni, ma non correva sul ghiaccio: pattinava. Danzava. Quel gol, leggendario: fa uno stop, dribbla a seguire, chiede l’uno-due a Zamorano che è bravissimo a farsi trovare, una finta delle sue per lasciare lì due difensori, un’altra sul portiere e palla in buca. Tutto in pochi metri, alla sua velocità. Ronie, come cantavano i tifosi, ce l’avevamo noi».

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Ce l’ha ancora, nella foto del profilo whatsapp.

«Per me giocare con lui è stato un privilegio, un onore, e un piacere: il numero uno di quei tempi, per me il miglior “nove” della storia. Il più moderno, dieci anni avanti a tutti, aveva tutto: tecnica, potenza fisica e rapidità, fiuto del gol».

E quante scarpe le ha pulito?

«Ah, lo sciuscià... L’unico rimpianto di quella partita: ero stato sostituito prima del 2-1, non potevo entrare per lustrargli la scarpetta, come feci per la prima volta con il Chino Recoba, dopo i gol al Brescia. Un gesto di umiltà, poi l’hanno copiato in tanti, ma era il nostro gesto: quello è un copyright dell’Inter ’97-98».

Da quanto non sente Ronaldo?

«Ci scriviamo nella chat dei ragazzi del ’97-98, non ha mai smesso di funzionare. Quello è un gruppo rimasto nella memoria di tutti noi, un po’ come il dopo partita di Mosca. Non propriamente sobrio, ecco».

Ah, però...

«Nello spogliatoio abbiamo fatto casino, poi ci siamo detti: “Dobbiamo festeggiare”. Non ci facevano entrare in nessun locale, non eravamo vestiti abbastanza bene. Poi ne abbiamo trovato uno solo per noi: chi di solito non beveva molto, come me, si è lasciato andare, abbiamo ballato fino a tardi. Torniamo in hotel e in reception a fare l’alba c’erano il presidente Moratti e Simoni: ricordo la fatica per arrivare all’ascensore senza far vedere che ondeggiavo».

Quell’Inter fu il capolavoro di Simoni.

«Una squadra che giocava a memoria, uno spogliatoio che trasudava positività. Il gruppo del Triplete è entrato nella storia, ma ha avuto un predecessore: il nostro. Lo ha detto anche Moratti, negli anni seguenti: quella Inter piaceva perché interpretava lo spirito interista, era un mix perfetto di campioni e compagni che sapevano correre per loro. Ci siamo divertiti, abbiamo divertito. E la gente ancora ricorda: qualcosa abbiamo lasciato».

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Immaginava che Simeone sarebbe diventato un allenatore così importante?

«Così no: è uno dei migliori nel mondo. Ma viveva per il calcio ed era il nostro leader: quello che dava equilibrio a tanti solisti anche un po’ pazzerelli».

In quella squadra giocavano insieme due centravanti puri, Ronaldo e Zamorano. Oggi è più raro che succeda.

«Ivan era un giocatore molto intelligente, gli piaceva anche mettersi a disposizione di Ronnie. Certo che possono giocare insieme due centravanti, il problema è che giocatori così oggi non ci sono».

Lei era il giocatore simbolo dell’uno contro uno: oggi si educano meno i ragazzi a saltare l’uomo?

«In Italia sì: altrove, anche qui in Albania dove alleno oggi, ci sono giocatori che ne fanno un’arma fondamentale. In Italia, già dai settori giovanili, si concede poco spazio alla fantasia. Io ho lasciato il calcio quando hanno iniziato a chiedermi di giocare a due tocchi. Mi dicevano: “Non fare questo, devi fare quello”: non mi sentivo più il Moriero che si divertiva e poteva far divertire la gente».

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