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Pensieri che sono tornati alla mente domenica davanti alla tv.
«Si è capito subito che era una cosa grave. Il corpo riverso bocconi di Bove e le facce terrorizzate di chi era in campo. Le stesse che avevamo visto tante altre volte, come nel caso di Eriksen agli Europei. Anche qui, come per me, per Manfredonia e per Eriksen, la prontezza di riflessi e la professionalità dei medici hanno fatto la differenza. Ho sperato che non fosse nulla di grave, ma fino a quando non ci hanno detto che era fuori pericolo, l’ansia è stata grandissima».
Bove ha detto subito che vuole tornare in campo.
«Capisco Bove: ho letto che ha chiesto quando potrà tornare a giocare. È normale, passata la paura del momento, che poi non ricordi in modo dettagliato, come accadde a me, guardi al futuro, alla tua vita di calciatore, specie per Edo che ha 22 anni. Ma adesso ci vuole la tranquillità che porta alla guarigione. È circondato da tantissimo affetto: la famiglia, innanzitutto. Ma anche la società che si è dimostrata straordinaria, come tutti i suoi compagni di squadra. E gli attestati di affetto e di stima che sono arrivati da tutto il mondo e in particolare da Roma, dai tifosi romanisti. Il ragazzo ora deve solo attendere di sapere che cosa è successo. La vita è la cosa più importante. Io ci sono passato, mi permetto di insistere».
Resta sempre lo sgomento quando un calciatore, un atleta super controllato, diventa improvvisamente così fragile da rischiare la vita.
«Esatto. Ma i controlli ci sono e, soprattutto in Italia, sono giustamente severi. Il caso Eriksen lo dimostra. Ed è fondamentale che intorno al campo ci siano tutti gli strumenti che, in mano ai professionisti, salvano le vite. Il mio augurio grande per Edo è che presto si capisca quello che è successo al suo fisico, le ragioni di questo malore così grave, che ha spaventato tutti. E che possa garantirgli di continuare a fare quello che sa fare benissimo: il calciatore. Ma serve pazienza. Con il tempo capirà il rischio che ha corso e quanto è bello svegliarsi e trovare intorno a te, non solo i medici che ti aiutano, ma l’affetto e l’amore di chi ti vuole bene».
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