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Un esempio per attualizzare il concetto?
«Ho l’impressione che Motta, che è un allenatore molto bravo, nella Juve fatichi a estirpare il concetto secondo cui vincere non è importante ma è l’unica cosa che conta. Motta se la deve vedere con 50 anni di tradizione diversa dalle sue idee».
Il Napoli di Conte?
«Vive attraverso la ricerca del perfezionismo di Antonio».
E l’ottimismo della ragione di cui mi parlava all’inizio da dove le deriva?
«Da segnali importanti. Ho visto alcune partite della Lazio e sono rimasto colpito e affascinato dal calcio di Baroni, espressivo e mai individualista».
Vuole dire che il calcio italiano reduce da due mondiale saltati si sta davvero risvegliando?
«In parte sì. Si costruisce sempre con delle idee. Ora ne vedo qualcuna in giro: il Lecce ne sta proponendo di interessanti. Anche l’Empoli. Lo stesso Bologna post-Motta».
Quando dice che i club calcistici sono come le aziende a cosa allude?
«Alla costruzione e alla gestione: le aziende falliscono quando non si rinnovano, così il football».
Quello che succede nel Milan attuale cosa le suggerisce?
«Forse guardano troppo alle gambe dei giocatori, a quello che sanno fare, e poco alla testa. Io ho sempre valutato prima la testa».
Ma lei aveva Palloni d’Oro in squadra.
«Van Basten, il giocatore migliore, rimase fuori dalla squadra per mesi a causa di seri problemi alla caviglia ma in quel 1988 vincemmo ugualmente uno scudetto memorabile».
Nostra idea: come filosofia, questa Atalanta dell’Ego di Bergamo (il Gasp), si avvicina molto al suo Milan.
«L’Atalanta sta facendo qualcosa di grandioso: può vincere lo scudetto anche se, nella mia considerazione, l’ha già vinto. Il merito è di Gasperini perché propone un calcio coraggioso e d’avanguardia».
Ma la più forte resta l’Inter?
«Ha due giocatori per ogni ruolo, una ricchezza notevole».
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