STANKOVIC
—Intervistato da La Gazzetta dello Sport, l'ex tecnico Alberto Zaccheroni ha parlato della sfida tra Lazio e Inter, del 5 maggio e di molti passaggi della sua carriera:
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Intervistato da La Gazzetta dello Sport, l'ex tecnico Alberto Zaccheroni ha parlato della sfida tra Lazio e Inter, del 5 maggio e di molti passaggi della sua carriera:
Ne ha avuti molti. Grandi campioni: Bierhoff a Udine, Shevchenko al Milan, Mihajlovic alla Lazio, Adriano all’Inter, Del Piero alla Juve. Chi ricorda con più affetto?
"Affetto per tutti, rispetto anche. Per me sono sempre stati fondamentali i rapporti umani. Ho sempre pensato che, se non sai catturare l’uomo prima ancora dell’atleta, è inutile. Forse questa è una chiave del mio lavoro e dei successi ai massimi livelli".
Ma qualcuno dentro il cuore le sarà rimasto. O no?
"Se proprio mi costringe, un nome lo faccio: Dejan Stankovic. Per me era come un figlio, un ragazzo generosissimo. Quando sono arrivato alla Lazio non giocava e mi ha detto: 'Io sono qui, se ha bisogno di un portiere faccio anche quello'. L’ho liberato dai vincoli tattici, doveva sprigionare la sua energia e la sua qualità. Per lui ho fatto uno strappo, una cosa unica nella mia carriera".
L’ha portato all’Inter.
"Sì. Non avevo mai imposto acquisti a un mio presidente. Neanche al Milan: Bierhoff ed Helveg non me li sono portati dietro. Erano già stati scelti. Massimo Moratti però all’Inter mi ha chiesto un nome qualsiasi a mia scelta: ho fatto quello di Stankovic. Per il resto della mia carriera ho sempre costruito in base a quello che avevo".
Adesso c’è Lazio-Inter. Cosa sono state per lei?
"Due stagioni della mia vita. Alla Lazio sono subentrato a Dino Zoff dopo tre pareggi, due in casa, uno fuori. All’Inter ho sostituito Hector Cuper dopo sei giornate. Non è facile salire in corsa, le squadre vanno programmate in primavera e nei ritiri estivi vedi e capisci le vere potenzialità dei giocatori. Si muovono liberi dalla paura del risultato, del posto da titolare, del voto sul giornale. Nelle partite amichevoli sono spensierati, puoi anche proporre qualche cambio di ruolo in base alle caratteristiche".
Torniamo alla famosa Lazio-Inter del 5 maggio 2002. Lei era sulla panchina biancazzurra. Cosa è successo?
"Partita pazzesca. Ultima giornata, l’Inter è in testa, 69 punti, la Juve seconda, 68, gioca a Udine. Noi battiamo l’Inter 4-2, la Juve vince 2-0 e diventa campione. Pensi: protagoniste quattro delle mie squadre".
In campo c’era Simone Inzaghi che, come lei, ha allenato Lazio e Inter. Com’era il Simone centravanti?
"Un ragazzo d’oro. Disponibile, educato, gentile, un professionista. Quella volta ha fatto il gol del 4-2. Poi è diventato un bravissimo allenatore".
Dopo Lazio-Inter ha lasciato la panchina ed è rimasto fermo diversi mesi. Ha sofferto?
"No. Hanno preso Roberto Mancini e io mi sono guardato intorno e ho aspettato. Non ne ho fatto una malattia, non mi sono stressato. Sono andato a trovare il mio babbo a Meldola e mi sono divertito a raccogliere la frutta e la verdura del suo splendido orto. Ho seguito i lavori di ristrutturazione della casa. Ho scritto per Sportweek, il vostro giornale, ho presentato anche le squadre di Serie A".
È tornato in pista l’anno dopo con la “sua” Inter. Ma non dall’inizio.
"Come ho detto, in corsa, al posto di Cuper. È stato bello, appassionante. Il mio babbo, interista, era felice. E io ero contento, perché da ragazzo ero tifoso di Corso e Suarez. Mi hanno portato a vedere anche una finale Intercontinentale. Settembre 1965, avevo 12 anni. Ricordo l’atmosfera, i giocatori. Inter-Independiente 3-0, un gol di Peirò e due di Mazzola, uno di testa e uno in rovesciata".
All’Inter rimane una sola stagione. Poi, anche lì, sostituito da Roberto Mancini. Le ha dato fastidio?
"Perché? Ha scelto Moratti, il presidente. Mi è dispiaciuto, ma è andata così".
Dopo l’Inter, due campionati fuori. Le hanno chiesto: Zac, c’è sempre l’estero. Ma lei ha risposto…
"No, grazie, preferisco l’Italia. Sono andato a Torino. Prima il Toro, poche partite, da dimenticare. Poi ho chiuso con la Juve, ho sostituito Ciro Ferrara dopo 21 giornate, siamo arrivati settimi. Il 15 maggio 2010 a San Siro contro il Milan l’ultima mia partita in Serie A. Da quel momento la mia vita è cambiata".
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