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Spalletti l’ha fatto adattando il suo calcio ai giocatori migliori di questa generazione. Abbiamo due esterni superlativi come Cambiaso e Dimarco, quindi difesa a tre e centrocampo a cinque; abbiamo mezzali di qualità come Barella, Tonali e Frattesi, quindi meglio rinunciare alla seconda punta che a uno di loro; abbiamo due difensori capaci di giocare in ogni zona del campo come Calafiori e Bastoni, quindi appena può la difesa a tre manda un uomo avanti. Ne deriva un centrocampo composto da sette uomini che contiene tutto: la protezione, la regia, il palleggio, l’incursione, il gol. Non sarà l’eterno progetto di Guardiola, che fin da Barcellona studia la squadra interamente composta da centrocampisti con l’utopia di non perdere mai il pallone, ma resta il modo più moderno di mantenere il controllo, ossessione di tutti gli allenatori.
Il percorso
—Il tempo che ci separa dal Mondiale s’incaricherà di consolidarlo nella mentalità collettiva di questa Nazionale. L’Europeo è andato come è andato perché Spalletti, angosciato all’idea di aver potuto lavorare poco con la squadra — da settembre a giug no — appesantì di tattica e retorica l’avvicinamento al torneo e la sua gestione, nell’illusione di colmare il gap. Al di là dei quarti di Nations raggiunti, l’autunno gli è servito per dare all’Italia rinnovata le nozioni di base sulle quali crescere. Se andremo al Mondiale — e in quel "se" c’è più scaramanzia che timore — la sua preparazione non sarà più un corso di recupero accelerato, ma una rifinitura sui residui punti deboli (la difesa sui calci piazzati). Un’altra vita", si legge.
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