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L’assenza di Calhanoglu (probabilmente out domenica a Venezia, ma fermatosi in tempo), si è sommata a quella di De Vrij sul 2-2 (solo crampi per lui) e racconta di un gruppo di veterani che scricchiola e di sostituti non sempre all’altezza: sia chi gioca sempre, ma non è un marcatore feroce come Bisseck, sia chi gioca poco come Asllani, che non trova mai il ritmo per non far rimpiangere il turco. E anche le modalità dell’ingresso di Zielinski e Frattesi accendono una spia sul cruscotto di Inzaghi: giocatori ambiziosi che per 4 gare di fila non partono titolari faticano a connettersi sempre nel modo ideale. A questo scenario, non preoccupante ma nemmeno idilliaco, si aggiunge una certa presunzione: «Sul 2-0 abbiamo smesso di giocare» ha tuonato Lautaro. E anche nelle altre sconfitte una certa rilassatezza è subentrata presto, nonostante l’elettricità di Inzaghi.
L’ultimo fattore comune è quello tattico. La densità a centrocampo degli avversari, espressa quasi sempre con due linee compatte di 4 giocatori, l’ampiezza sulle fasce e una forte presenza sulla tre quarti difensiva interista, formano una gabbia pericolosa per la creatura di Inzaghi, che gioca sempre allo stesso modo, ma trovando ogni volta delle varianti. Se questa creatività però viene limitata con un pressing alto, l’Inter fatica e a volte non basta aspettare che gli avversari mollino la presa.
Anche perché i cambi che possono fare la differenza, ce li hanno anche gli altri. «Ci rialzeremo anche stavolta» ha detto Inzaghi. Ed è questa la costante che conta di più, visto che a ogni sconfitta l’Inter ha reagito da grande squadra.
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