I tre gol in rimonta del Milan, sembrano la dimostrazione di un mix di fattori che quando si uniscono, diventano difficili da gestire
L'Inter si lecca le ferite dopo la pesante sconfitta in finale di Supercoppa contro il Milan. Il Corriere della Sera, nella sua edizione odierna, entra così nei motivi del KO di Riad, molto simile agli ultimi dei nerazzurri: "Se il derby perso il 22 settembre aveva posto fine ai festeggiamenti per la seconda stella, la «supercolpa» d’Arabia per l’Inter può essere un altro spartiacque. Dopo il ko di fine estate i nerazzurri non avevano ancora perso una partita contro squadre italiane e in assoluto erano inciampati solo a Leverkusen. A parte i due passi falsi col Sassuolo della scorsa stagione, che vanno estrapolati dal contesto, le sconfitte dalla finale di Champions col City sono solo sette e questo dà la misura del lavoro di Inzaghi.
Ma il filo conduttore che unisce i ko più importanti, con Atletico Madrid, Bayer e due volte con il Milan è così evidente che non può essere sottostimato. L’elemento comune più evidente è quello dei gol subiti dal minuto 85 in poi, se consideriamo anche il 2-1 di Depay al Metropolitano che ha portato l’ottavo di Champions del marzo scorso ai supplementari e poi ai rigori. «Ancora un gol nel finale — ha sibilato Federico Dimarco —: una squadra come la nostra non può perdere così». Come a Madrid l’Inter è stata rimontata, facendosi sfilare da sotto al sedere la poltrona su cui si era adagiata. Anche la sconfitta di Leverkusen, con il pareggio come stella polare, ha tolto i nerazzurri dalla loro zona di comfort. I tre gol in rimonta del Milan, sembrano la dimostrazione di un mix di fattori che quando si uniscono, diventano difficili da gestire.
L’assenza di Calhanoglu (probabilmente out domenica a Venezia, ma fermatosi in tempo), si è sommata a quella di De Vrij sul 2-2 (solo crampi per lui) e racconta di un gruppo di veterani che scricchiola e di sostituti non sempre all’altezza: sia chi gioca sempre, ma non è un marcatore feroce come Bisseck, sia chi gioca poco come Asllani, che non trova mai il ritmo per non far rimpiangere il turco. E anche le modalità dell’ingresso di Zielinski e Frattesi accendono una spia sul cruscotto di Inzaghi: giocatori ambiziosi che per 4 gare di fila non partono titolari faticano a connettersi sempre nel modo ideale. A questo scenario, non preoccupante ma nemmeno idilliaco, si aggiunge una certa presunzione: «Sul 2-0 abbiamo smesso di giocare» ha tuonato Lautaro. E anche nelle altre sconfitte una certa rilassatezza è subentrata presto, nonostante l’elettricità di Inzaghi.
L’ultimo fattore comune è quello tattico. La densità a centrocampo degli avversari, espressa quasi sempre con due linee compatte di 4 giocatori, l’ampiezza sulle fasce e una forte presenza sulla tre quarti difensiva interista, formano una gabbia pericolosa per la creatura di Inzaghi, che gioca sempre allo stesso modo, ma trovando ogni volta delle varianti. Se questa creatività però viene limitata con un pressing alto, l’Inter fatica e a volte non basta aspettare che gli avversari mollino la presa.