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Inzaghi ha a disposizione giocatori che hanno disputato tantissime partite internazionali, sanno come devono comportarsi a seconda delle situazioni che si creano sul campo, e possono giovarsi di una manovra che, disegnata molto bene dall’allenatore, è un valore aggiunto. L’Arsenal, che io definisco una squadra anglo-spagnola perché possiede il classico furore agonistico degli inglesi e le capacità tecniche e tattiche degli spagnoli (portate da un bravo allenatore come Arteta), ha cercato di dominare il campo, di mettere al tappeto l’Inter, di costringerla nella sua metà campo. Però non è riuscita nell’intento e ciò è testimonianza della crescita dei nerazzurri che, ormai, si comportano nelle sfide internazionali con il coraggio necessario. Non sono timidi, non si difendono a oltranza, ribattono colpo su colpo e, così facendo, mettono in mostra qualità notevoli. Per il calcio italiano dev’essere un orgoglio avere una squadra che disputa la Champions con questo stile. Mi è piaciuto molto il modo in cui, dopo aver recuperato il pallone, i ragazzi di Inzaghi sono usciti in velocità per andare ad attaccare l’avversario.
Un segnale importante, è come dire: non mi fai paura, ci sono anch’io! Ecco, l’Inter, in questa Champions, non solo c’è, ma a mio avviso sarà protagonista fino alla fine. Se proprio devo trovare un piccolo difetto, ma davvero piccolo, è il seguente: manca ancora un po’ di pressing. Bisogna insistere - e sono certo che Inzaghi lo spiegherà alla squadra - nell’aggredire l’avversario, non lasciargli spazio. Così facendo aumenta la proprio autostima e diminuisce quella del rivale. E, in partite molto tirate come quelle di Champions, l’aspetto psicologico diventa fondamentale. Il successo, tutto sommato, e al netto del salvataggio di Bisseck su Havertz, mi sembra giusto. Ho apprezzato il lavoro di chi ha agito sulle fasce laterali: Dumfries, in particolare, quando parte è proprio incontenibile. E uno come Calhanoglu in mezzo al campo, anche se non era al massimo della condizione fisica, si fa sempre sentire.
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