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Santon: “Mou unico in ogni epoca, alla Roma si era addolcito. Con Balotelli come fratelli”

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Intervistato da La Gazzetta dello Sport, l'ex terzino dell'Inter ha raccontato la sua carriera e i tanti infortuni avuti
Andrea Della Sala Redattore 

Intervistato da La Gazzetta dello Sport, l'ex terzino dell'Inter Davide Santon ha raccontato la sua carriera e i tanti infortuni avuti che ne hanno condizionato la carriera:

“Il bambino è bravo”: le tornano mai in mente le parole di Mou dopo aver fermato CR7?

«È una frase speciale, come chi l’ha pronunciata. Il soprannome mi è rimasto appeso per la vita: ero davvero un bambino felice in mezzo a tanti giganti. Mou non voleva essere teatrale, come faceva a volte, ma sincero: pensava solo a trasmettere fiducia per il futuro che avevo davanti».


Il futuro, però, non è stato all’altezza: non è che quella benedizione sia arrivata presto?

«No, non era presto, ma forse io ero ingenuo e non pronto a livello mentale. Quando sei lì a 17 anni, non sai quanto sia difficile gestire le aspettative della gente: se stai sotto l’asticella, vieni preso di mira. Dopo il primo anno avevo raccolto tutto, dallo scudetto alla Nazionale, poi mi ruppi il ginocchio: le conseguenze dell’infortunio mi hanno accompagnato fino all’ultimo giorno. Non è stato gestito bene dal punto di vista medico: io, sbagliando, ho seguito le pressioni per tornare il prima possibile. Ma il mio fisico non sarebbe mai stato più come prima...».

Con la testa di oggi come avrebbe agito?

«Se all’epoca un mister mi diceva “ho bisogno di te”, io rispondevo “sono pronto”, anche se non lo ero. Quando mi sono rotto il ginocchio la prima volta in U21, ho accettato di giocare la ripresa stringendo i denti e rovinandomi completamente: oggi direi di no e, al rientro, non forzerei più i tempi. Dopo il primo ritorno, ho iniziato a giocare male e, dopo 4 mesi, nuova operazione e fuori altri 8. Da quel momento in poi posso dire di aver giocato spesso con una gamba e mezza. Anche solo per allenarmi dovevo tenere il ghiaccio per ore: una zavorra dal punto di vista mentale. Gli errori, le critiche, gli affanni in campo: erano gocce che scavavano nella testa. Serviva aiuto per provare a rialzarsi».

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Quando l’Inter di Spalletti perse con la Juve nel 2018 tutti se la presero con lei.

«Non ci ho dormito per giorni, da quel momento in poi mi ha affiancato un mental coach. Era diventato tutto troppo pesante perché, se giochi con paura, complichi solo le cose. È stato uno dei momenti più duri, non c’era modo di far dimenticare le mie “colpe”. Per questo andai a Roma e ricordo che, da giallorosso a San Siro, mentre uscivo per l’ennesimo infortunio, tutto il pubblico applaudiva. In quel momento ho capito che non mi odiavano più, che i bei ricordi erano superiori a quelli cattivi...».

A fine carriera a Roma ha ritrovato lo stesso Mou di prima?

«All’Inter girava tutto attorno a lui, alla Roma era un po’ meno dittatore. Si era quasi addolcito. Ma Mou è unico in ogni epoca: ha sempre detto in faccia tutto, pochi lo fanno e ti illudono. Ho apprezzato la franchezza anche quando sono finito fuori rosa a Roma e l’unica strada era smettere: avevo iniziato con lui, dovevo finire con lui»,

Oggi che fa nella vita?

«Avrei potuto fare il commentatore o prendere il patentino, ma basta calcio. Vivo a Roma con la famiglia e ho il mio centro sportivo sui Lidi Ferraresi, dove sono nato. Si gioca a calcio, padel, tennis e l’effetto Sinner spinge tanti ragazzi. Io stesso, quando vedo Jannik, sono estasiato. Lì, tra i campi di padel, cerco l’essenza più genuina dello sport: voglio giocare senza pressione. Questa parola, “pressione”, è quella che mi ha fatto più male, però ora mi sento libero».

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Cosa è stato per lei Mario Balotelli?

«Amici nel calcio se ne fanno pochi, ma lui lo era. Anzi, un fratello. Abbiamo passato momenti bellissimi insieme, ma poi la vita prende traiettorie diverse: siamo spariti entrambi, non ci sentiamo da anni, anche perché lui cambia spesso cellulare ed è difficile stargli dietro... Ci hanno sempre visti come la stessa cosa, ma siamo diversissimi: a me non è mai piaciuto apparire o diventare un personaggio. Posso dire solo che Mario è un bravissimo ragazzo e un fenomeno unico: anche lui ha fatto molto meno di ciò che meritava. Se avessi avuto il suo fisico e lui la mia voglia di provarci, saremmo stati felici entrambi».

Chi è il più forte con cui ha giocato?

«Beh, ho giocato con diversi fenomeni: Maicon è il miglior terzino di sempre. A me impressionava l’eleganza di Figo: danzava. Un onore aver fatto l’assist a Lecce per l’ultimo su gol in carriera».

Santon, lei come vorrebbe essere ricordato?

«Come il bambino. Il bambino che raggiunge i sogni, anche se troppo difficili da sostenere».

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