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Vocalelli: “Inzaghi, attraversata tempesta senza perdere bussola. E pensare che era a rischio”

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Del lavoro di Inzaghi e della crescita dell'Inter sotto la sua guida ha parlato il giornalista Alessandro Vocalelli
Andrea Della Sala Redattore 

Del lavoro di Inzaghi e della crescita dell'Inter sotto la sua guida ha parlato il giornalista Alessandro Vocalelli sulle pagine de La Gazzetta dello Sport:

All’alba del 2023, meno insomma di due anni fa, Inzaghi era un allenatore a rischio. La sua panchina era in pericolo e il pareggio con la Salernitana sembrava davvero poter rappresentare l’inizio della fine - si può dire così? - del suo rapporto con l’Inter. Come non invidiare - avrà forse pensato Simone in quei giorni - Spalletti, Mourinho, Sarri, Allegri, Pioli … saldamente al comando delle loro squadre. Fatto sta che a Napoli Spalletti ha rotto con il presidente; Mourinho a Roma è entrato in rotta di collisione con la società e alcuni senatori; Sarri ha mantenuto buoni rapporti con il presidente Lotito e il ds Fabiani, ma ha mollato una squadra che non lo seguiva più; Allegri è sbottato in diretta televisiva contro i dirigenti della Juve ed è stato sollevato dall’incarico; a Pioli è stata fatta una bella festa di ringraziamento, con gli applausi dei dirigenti del Milan, dei giocatori e quelli ancora più sinceri dei tifosi.


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E a ripensarci non si capisce allora perché, sia stato costretto al alzare la mano in segno di saluto, con l’altra a strizzare gli occhi per asciugare una lacrima. Al suo posto, ma questa è cronaca, è arrivato Fonseca, che però si è velocemente allineato, alla lista dei dimissionati, che comprende altri nomi molto conosciuti: da Tudor a De Rossi Tutto questo, dicevamo, è successo in meno di due anni. E l’allenatore, l’uomo, che sembrava più a rischio è ancora lì, come canta non a caso Vasco Rossi, con tutto il suo cuore nerazzurro .

Simone Inzaghi, eh… già, ha saputo attraversare la tempesta senza mai perdere la bussola, ricostruendo il suo rapporto di fiducia con la società, a differenza di suoi colleghi illustri; ha saputo valorizzare una squadra, integrando giovani e meno giovani; ha saputo farsi apprezzare dal pubblico. Tutto questo gli è riuscito, e partiamo dall’ultima annotazione, perché non si è mai costruito una maschera, non è mai caduto nella tentazione di fare di se stesso un personaggio. E i suoi ringraziamenti, il suo cenno alla curva e alla tribuna, sono sempre stati sinceri. Rischiando addirittura, nella concentrazione che richiedeva la gara, di passare per ingrato. “Ehi, Simone, guarda che stanno scandendo il tuo nome”. Niente insomma di artificioso o costruito.

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Con la società, poi, il legame si è fatto sempre più stretto - confermato da un contratto fino al 2026, già pronto per un altro rinnovo - grazie a quel suo modo genuino e produttivo di interpretare il ruolo dell’aziendalista. Consapevole delle necessità economiche del club, senza però mai rinunciare ad esprimere la propria idea. Perché è così, continuando a dare il proprio contributo di idee, che si fanno le fortune collettive: rispetto dei ruoli, ma partecipazione attiva, a costo - ricordate la frase di Lotito? - di lamentarsi al momento opportuno.

Perché se uno, ad esempio, è convinto che Acerbi possa dare ancora moltissimo , è giusto insistere. Ma il vero capolavoro, di Inzaghi, è stato soprattutto tecnico. Perché oggi tutti esaltano, giustamente, una rosa ricca e di altissimo profilo. Ma siamo certi che Dimarco avrebbe fatto la stessa carriera con un altro allenatore? O che Thuram si sarebbe scoperto improvvisamente capocannoniere? Insomma, ripensando a com’era lo scenario due anni fa - alle storie di tanti suoi colleghi - è proprio vero, come diceva Benjamin Franklin, che tre cose sono difficili in questo mondo. Mantenere un segreto, perdonare un’offesa e - pensando a Simone - soprattutto saper sfruttare bene il tempo.

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