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parola al tifoso
È notizia di ieri: la parola “prescritti” verrà finalmente cancellata dal vocabolario juventino. Il termine, negli ultimi dieci anni, aveva rappresentato, solo per l’immaginario “zebrato”, l’appiglio per nascondere le magagne certificate della propria squadra del cuore. Nessuna sentenza di condanna, nessun accertamento di brogli, nessun dirigente radiato: “prescritti” era la condanna morale inflitta agli interisti da chi doveva giustificare l’associazione a delinquere finalizzata alla frode sportiva.
La Cassazione, però, ha spazzato via l’unico elemento capace di mantenere in vita il teorema complottistico sulla vicenda “Calciopoli”: Luciano Moggi e Antonio Giraudo sono dei “prescritti”. Con una lieve, banale, piccola e sottile differenza: erano a capo di quel sistema che ha alterato le regole del gioco del calcio; quel sistema che ha umiliato gli sforzi dei vinti; quel sistema che ha “sgonfiato” di romanticismo il pallone pilotato che rotolava sull’erba dell’ingiustizia. Purtroppo, giustizia non è fatta.
Non ci sarà mai un tribunale che potrà condannare coloro che hanno oltraggiato la memoria di un gentiluomo di questo sport, un personaggio simbolo di lealtà e sportività. Il primo pensiero, dopo la fine del processo penale di Napoli, va a Giacinto Facchetti, simbolo, marchio impresso nella pelle di chi ama i colori del cielo della notte. Accuse infamanti, gratuite, prive di fondamento, hanno infangato l’onore e l’onorabilità di un signore poco incline ai giochi di potere, al linguaggio scurrile dell’offesa, al circolo vizioso del “vincere è l’unica cosa che conta”. Sì, perché la parola vincere, in altri contesti, è denigrazione dell’avversario, abuso delle norme, linciaggio mediatico.
Ma l’onta più ingombrante, difficile da accettare, è il giudizio morale che, per troppo tempo, ha associato il nome dell’Inter ad un concetto di illegalità, di manipolazione degli eventi, di presunti insabbiamenti frutto solo della fervida immaginazione juventina. In ballo non c’è un rigore fasullo, un goal in fuorigioco, un arbitro accondiscendente: ci sono 107 anni di storia, ci sono vittorie epiche e sconfitte lancinanti, c’è uno stile e un modo di essere che è il tratto distintivo di chi ha scelto di sposare la causa nerazzurra. Il concetto di moralità- ed è obbligatorio rimarcarlo- si è infranto negli spalti dell’Heysel, è stato segregato nelle provette di laboratorio “prescritte” delle farmacie sportive, non ha ricevuto “risposta” mentre provava a telefonare per un calcio equo, giusto.
Le condanne della giustizia, sia sportiva che penale, sfuggono a qualsiasi tipo di interpretazione morale e confermano, una volta per tutte, un disegno preciso, programmato a tavolino, che è il simbolo di un malcostume tutto italiano: il trionfo della sopraffazione, del raggiro della legge. In questo nuovo contesto, immagino un Giacinto Facchetti, nel frattempo consolato in cielo dalla verve umoristica del “vero avvocato” Peppino Prisco, poco interessato alle rivalse, alle vendette nei confronti di quei soggetti che lo hanno accusato ed ingiuriato senza che l’uomo Facchetti avesse la possibilità di replicare, di difendersi.
Vorrà una sola giustizia, una sola legge: l’onore di essere interista. Un’altra tifoseria, invece, manterrà viva l’illogicità di determinati ragionamenti, ma regredirà culturalmente causa abbandono obbligatorio del termine “prescritti”. Vincere, forse, sarà l’unica cosa che conta. Ma l’acquisto dell’abaco non guasterebbe.
Melo Nicotera (@NicoteraMelo)
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