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parola al tifoso
di MARCO REBUGLIO
Piu su, piu giu', piu su, piu giu'...recita così una canzone di Vasco Rossi impossibile da non sentire in radio durante questi giorni di primavera. E' la fotografia perfetta della stagione dell'Inter, anche se adesso gli sbalzi sembrano proprio terminati, e non nel punto in cui tutti speravamo e sognavamo. Sognavamo perchè la vetta piu' alta era rappresentata da uno scudetto che sarebbe stato piu' bello di tutti i 5 vinti negli ultimi anni messi assieme. Sognavamo perche' in questo vortice di emozioni agli antipodi eravamo anche riusciti a toccare il cielo con un dito, con una notte europea di quelle che fino a qualche anno fa invidiavamo ai cugini rossoneri. Credetemi, ero sia al Bernabeu che all'Allianz, le sensazioni non sono state molto diverse. Sognavamo perche', come recita Mirko, il nostro speaker ufficiale, 'viene dal Brasile, e si chiama Leonardo'.
Col suo entusiasmo carioca, con il suo sincero ardore il brasiliano ha risvegliato una squadra spenta, stanca, demotivata. Per questo ringrazio Leonardo, lo ringrazio e continuero' a stimarlo come immenso esempio di uomo di calcio. Lo ringrazio, nutrendo nel contempo una forte speranza. Che anche Moratti faccia la stessa cosa, pagandogli però nel contempo la liquidazione e dandogli un caloroso e SINCERO addio. Sincero, perche' non fosse stato per lui poteva finire peggio.
Leo è uno di quei personaggi cosi' giustamente ammirati e apprezzati, da finire involontariamente a far parte di una categoria poco simpatica, soprattutto ai colleghi: quella degli allenatori in grado di approdare sulla panchina di grandi squadre senza aver fatto la gavetta, un passaggio normale e fisiologico nella vita di tutti. Colui che con le proprie mani ha plasmato la squadra più bella del mondo, prima di arrivare sulla panchina importante, si è fatto un anno nel 'Futbol Club Barcelona B, ottenendo la qualificazione ai play-off di Tercera División', cito da Wikipedia. Lo stesso Massimiliano Allegri, che nella sfida tattica con l'allenatore avversario ha vinto con un 6-0 tennistico il derby di ritorno dopo essere stato il migliore anche all'andata, si è fatto Aglianese (C2), Spal, Grosseto (C1), Sassuolo (C1) prima di approdare a Cagliari e Milan.
Nonostante i primi scricchiolii già si avvertirono a Barajas, l'aeroporto di Madrid, quando nell'interminabile notte del 22 maggio 2010 alcune dichiarazioni e festeggiamenti mancati ci fecero godere il momento solo al 95 per cento, l'umore nella stagione 2010/2011 era cominciato 'piu' su'. Rafa Benitez era il migliore allenatore sulla piazza. Era girata anche la voce riguardante Capello, ma l'uomo che ci regalò un'altra notte indimenticabile, quella del 25 maggio 2005 a Istanbul, era forse più da Inter, e non solo come curriculum.
Lo spagnolo amante della buona tavola aveva immediatamente capito che la stagione appena terminata avrebbe lasciato strascichi non trascurabili sugli eroi, dichiarando fin da subito che la squadra avrebbe necessitato di una graduale rifondazione. Fece anche tre nomi ben precisi, e chissà che non sarebbero stati meglio dei desideri espressi da Mourinho due anni prima (Mancini e Quaresma). La risposta della società fu: un bel nulla.
Forse non tutti li ricordano, ma ci sono stati dei brevi momenti in cui Rafa ha avuto l'infermeria non troppo piena e una squadra quasi al completo. Ci furono alcune partite in cui il gioco espresso era più bello di quello che si vedeva negli ultimi tempi della gestione Mourinho: il 4-0 sul Werder, il 4-0 nel primo tempo col Tottenham, che, tornato a San Siro qualche mese dopo, rimediò ben altro bottino. Rimarrano invece bene impresse nelle pagine dei libri di storia del nostro club la Supercoppa Italiana e il Mondiale per Club, quello che era il più grande desiderio del Presidente e che, rimugginando in silenzio, Benitez, seppur con un pizzico di fortuna, gli consegnò luccicante in mano. Lo stesso Benitez trattato non male, peggio, da una società che non ne ha mai intravisto le indiscusse qualità.
Dalla gestione Leonardo non ci si aspettava uno scudetto, una Coppa dalle grandi orecchie. Bastava una reazione, sufficiente per far tornare il sorriso ai tifosi nerazzurri con la pancia per fortuna già semipiena. Purtroppo Leonardo ha finito invece per scrivere delle pagine nere, o quanto meno le ha fatte tornare a galla. L'Inter non subiva una batosta di questa portata in Europa dal 2003, quell'1-5 casalingo contro l'Arsenal, erano i tempi bui degli Zaccheroni e dei Tardelli, e non eravamo nemmeno più abituati a lezioni di una certa portata nei derby, frutto di clamorose ingenuità tattiche che i più hanno visto solo nella serie dei film con Oronzo Canà. Mancanze da principianti, da chi di gavetta ne dovrebbe fare parecchia.
Tutti, dai bambini alle mitiche casalinghe di Voghera, in queste due ultime infauste partite si saranno detti almeno una volta: 'Ma dov'è il centrocampo?' oppure, 'ma come è messa giù male questa squadra'. Un'orchestra spezzata a metà, in due tronconi apparentemente non comunicanti tra di loro. Agli occhi più allenati erano sorti forti dubbi anche a Monaco, ma poi tutti i pensieri negativi furono scacciati da un'impresa memorabile, un'impresa di quelle che si avverano una volta ogni 15 anni. L'ultima era riuscita all'Ajax nel 1996. Ma non è sempre domenica, e i nodi prima poi vengono al pettine. Una squadra così disunita sinceramente avrebbe fatto fatica anche col Mazembe.
Chissà cosa avrà pensato il povero Rafa guardando questa Inter di Champions. Lui che non ha mai rimediato tali figuracce pur dovendo affrontare alcune partite (sulla carta ben più impegnative di quella contro lo Schalke) con Natalino, Coutinho, Biabiany, Nwanko, Santon. Però caricava di troppo lavoro i giocatori e delle discussioni tra uomini con alcuni di loro non erano piaciute al nostro Presidente che, si sa, difende sempre a spada tratta i suoi gioielli. In caso contrario Recoba non avrebbe vestito per così tanti anni la casacca nerazzurra. Chissà invece se dopo questa partita ai piani alti qualcuno si starà chiedendo, come fanno le casalinghe di Voghera, 'forse ho sbagliato qualcosa'. Peccato, si poteva proseguire un ciclo.
MARCO REBUGLIO
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