parola al tifoso

IL NERAZZURRO DELLE COSE…

Eva A. Provenzano

“Via da vittorie inaccessibili, via dai soliti consolanti pari merito e tra le luci e ombre che vedrai, di certo troverai il posto dove lascerai un po’ di te, per sempre… Per poco che sia, senza più difese, né mai più pretese. Così...

“Via da vittorie inaccessibili, via dai soliti consolanti pari merito e tra le luci e ombre che vedrai, di certo troverai il posto dove lascerai un po’ di te, per sempre… Per poco che sia, senza più difese, né mai più pretese. Così vedrai, nelle cose da niente ritroverai tra le sorprese ‘IL NERAZZURRO’ delle cose”…

L'avete mai sentita? È una canzone di Mina. Tutte le volte che la sento penso all’Inter. Ai giorni difficili del “non vincete mai”, alle battaglie perse ancora prima di cominciarle. A quel 5 maggio stramaledetto e benedetto insieme, che si prese un pezzo delle mie insicurezze da tifosa inesperta e ingenua e mi regalò la mia squadra per sempre. Penso ai pareggi con l’acqua alla gola, alle rimonte contro la Sampdoria, a Recoba e al suo splendido e irritante sinistro, a capitan Saverio e alla sua resistenza. All’irregolarità dei miei colori, alla loro assoluta e incondizionata bellezza. Il nero delle sofferenze, l’azzurro di gioie che nessuno ha così belle. Il nero di Valencia, Milan, Villareal, l’azzurro splendido e indescrivibilmente straordinario degli ultimi tre scudetti e a serate come quella di ieri a Barcellona.

28 aprile 2010. Camp Nou. Ai miei figli e nipoti interisti (senza scelta) lo racconterò così: “Era un’arena impazzita. Una squadra in campo contro l’altra e contro il mondo intero. Il 3 a 1 dell’andata a Milano sembrava non esistere, come se l’Inter ripartisse da zero. Ci assalirono, presero a calci, senza che nessuno potesse lamentarsene e noi schierati in trincea ci difendemmo. In dieci (e la forza di milioni di nerazzurri) contro 11 e il resto del mondo. E non per paura, ma per scelta. Nessuno fece notare ai guerrieri blaugrana che nel calcio conta chi segna non quanti passaggi giusti porti a termine. I loro passaggi riusciti furono più di trecento, i nostri neanche 50. Eppure... Eppure resistemmo alle polemiche, alle ‘pentolade’, all’ondata di fischi, di cartellini gialli e rossi, e alla fine zero ‘remuntada’. Era il nome che avevano dato alla rimonta sicura, sicurissima dicevano, del Barcellona. Ma successe l’imprevedibile. A pochi, interminabili, minuti dalla fine, un gol di quel Pique dal ‘vi pentirete di essere giocatori’ (disse proprio così per intimorire i nostri ragazzi) mise tutto in discussione. E nella testa dei tifosi interisti in quel momento passarono tutte le umiliazioni, gli sberleffi, tutte le volte che in silenzio se n’erano stati ad ascoltare le lezioni degli altri tifosi. Un colpo al cuore li risvegliò subito dopo: segnò il piccolo Bojan, subentrato al gigantesco ex Ibra, sembrava finita, ma il gol non era gol. E allora si ricominciò a sperare col cuore che non conteneva più i battiti e le gambe immobili in attesa di un segno, di un suono. Al 94’ l’arbitro fischiò e i cuori nerazzurri (soli contro il resto del mondo) esplosero in un boato di gioia e incredulità: Madrid, si va a Madrid. Continuai a ripetermelo per ore per convincermi che fosse vero. Mi addormentai sfinita nella mia maglia nerazzurra e felice come non lo ero mai stata. Al mio risveglio corsi fuori dal balcone. La bandiera era ancora là, come l’Inter mi aveva chiesto. Non era stato un sogno. O forse si, avevo sognato, ma ad occhi aperti, spalancati, una serata al Camp Nou perfetta e indimenticabile”.

Il finale di questa storia è ancora tutto da scrivere. L’han detto pure Saverio ed Esteban: “C’è ancora un’altra partita da giocare”. Il 22 maggio la nostra squadra deciderà la fine di questo racconto e sarà un’altra interminabile battaglia contro tutto e tutti. Io mi preparo ricordandomi la mia favola preferita, quella che mi hanno raccontato per farmi addormentare e innamorare del “nerazzurro delle cose”. Cominciava così: “Sarti, Burnich, Facchetti” e finiva al Prater di Vienna contro il Real Madrid (Madrid, Madrid…), 3 a 1 per noi. E nella testa e nel cuore inevitabilmente passa quella scritta negli spogliatoi della Grande Inter firmata Helenio Herrera: “Che differenza c’è tra le cose difficili e le cose impossibili? Per le cose impossibili serve solo più tempo".

Basteranno 45 anni?