parola al tifoso

JAVIER: L’INVISIBILE, IL CONDOTTIERO

Eva A. Provenzano

 Sembrava invisibile, ma era l’anima. Ad alcuni sembrava fuori posto, perché era ovunque. Il lunedì mattina tutti, con cadenza puntuale, lo liquidavano con un sei in pagella. Era da dieci, sempre. Se un giorno dovessi avere la fortuna di...

 Sembrava invisibile, ma era l’anima. Ad alcuni sembrava fuori posto, perché era ovunque. Il lunedì mattina tutti, con cadenza puntuale, lo liquidavano con un sei in pagella. Era da dieci, sempre.

Se un giorno dovessi avere la fortuna di insegnare ai miei figli l’Inter, la storia di Capitan Zanetti comincerebbe proprio con queste parole.

Avevo 12 anni quando il presidente Massimo Moratti lo acquistò, quasi per sbaglio. Il suo primo acquisto. Non poteva sospettare che sarebbe stato l’investimento più azzeccato della sua storia nerazzurra (e della mia). Primo e unico. Javier è proprio come l’Inter. Ti spingono a lottare, ti spronano ad avere fiducia, a restare nelle sofferenze, a gioire con stile nelle vittorie. Mai una parola di troppo, mai un gesto da copertina. Più di cinquecento partite con la maglia nerazzurra stampata sulla pelle e nel cuore. Un cuore generoso quello de “El Tractor”, che nella grandezza e nella ricchezza non ha dimenticato chi, nella sua Argentina, fa fatica a sopravvivere. Pupi, il suo soprannome, è anche il nome della sua fondazione. Sua e di Paula, sua moglie, la fidanzata di tutta la vita. Un uomo vero in campo, che compensa tutti quelli che all’Inter sono passati, l’hanno usata e poi gettata via, come si fa con una maglia troppo scomoda.

La sua faccia, il suo sorriso e la sua corsa tutta d’un fiato in quel sei maggio vittorioso, al Parco dei Principi di Parigi, voglio ricordarli per sempre. La sua botta sotto la traversa nella serata di un certo Ronaldo. Il suo gol l’ho dimenticato, quello di Saverio no. Perché lui all’Inter ha dato tutto e a me, che l’ho preso ad esempio, ha regalato un modello da seguire, custodire, difendere. Come Giacinto Facchetti lo era stato per il mio papà. Se ogni tifoso ha nel cuore un giocatore che niente e nessuno gli può contestare, il mio è sicuramente Javier. Perché è grazie a lui, alle sue cavalcate da leggenda, se tutte le volte, anche in mezzo all’apocalisse, riesco a ricordarmi perché la mia squadra è l’unica possibile (per me).

Il mio capitano se ne parte palla al piede dall’area, macina campo e scarta gli avversari che è una bellezza. E chi se ne importa se da quell’azione non nasce un gol, per quell’emozione io potrei vivere all’infinito. Ci sono mete da raggiungere che però sono molto di più. Sono sogni ai quali si può arrivare semplicemente sognando. Guardi il capitano e ti ricordi perché certe montagne decidi di scalarle. Non è solo per arrivare su in cima, ma è per sognare, con i colori più belli del mondo sullo sfondo e un condottiero a farti da faro, a dirti che si, si può avere paura, ma le emozioni di una battaglia vanno sempre vissute fino in fondo, pure quando c’è la reale possibilità di vederle perdersi in uno scivolone nel vuoto.

Amare l’Inter in maniera assoluta, qualsiasi cosa accada, quella è la vera cima.