parola al tifoso

Una maledetta domenica

 Il risveglio ci ha colpito come uno schiaffo che non avevamo sentore di meritare. Devastante. Incredulità, lacrime, rabbia. Non c’é nulla di comprensibile in un ragazzo di 24 anni che muore su una moto. Non i rischi, spesso sottolineati...

Sabine Bertagna

 Il risveglio ci ha colpito come uno schiaffo che non avevamo sentore di meritare. Devastante. Incredulità, lacrime, rabbia. Non c'é nulla di comprensibile in un ragazzo di 24 anni che muore su una moto. Non i rischi, spesso sottolineati e velocemente allontanati in favore di quella cosa sacra che risponde al nome di spettacolo. Non le statistiche, che ci dicono che purtroppo cose così capitano. E' capitato a lui. Tanti di noi non lo conoscevano benissimo, molti neppure seguivano le sue gare, ma tutti stamattina abbiamo provato la stessa angoscia impotente. Perché lui poteva essere mio fratello, il fidanzato della tua compagna del liceo, un figlio. Un ragazzo che faceva simpatia appena apriva bocca. Masticava lo stesso accento della terra del suo grande amico ValeYellow46 (il nome di Rossi su Twitter), con i suoi capelli avresti potuto farci un paio di parrucche e sostanzialmente era un ragazzo normale. Che amava divertirsi, gli piaceva la gnocca (la prima in classifica rimaneva la sua fidanzata) e si esaltava per una partita di calcio. Era un ragazzo fortunato. Nel suo lavoro doveva correre più forte di tutti a cavallo di una moto. Cavalcava il rischio con la stessa naturalezza con la quale tutti noi andiamo in ufficio. Lo faceva come se fosse l'unico modo possibile di vivere ed era proprio così. Sfidare il concetto di velocità, sfiorare il terreno per l'ennesimo sorpasso in curva, girarsi e fare una pernacchia all'avversario e a quel rischio latente nascosto dietro ad ogni accelerazione ardita. Per tutti questi motivi Marco non era per nulla un ragazzo normale. Nessuna persona di nostra conoscenza avrebbe fatto le cose che faceva lui.

Oggi per un volere che sfida ogni legge di umana comprensione la sua moto si é piegata in corsa e Marco se ne é andato per sempre. Quell'asfalto crudele non lo ha guardato in faccia. Imperturbabile se l'é portato via in un attimo, incurante di quei 24 anni che avrebbero meritato di sfumare in una vecchiaia serena e piena di bei ricordi. Fino a stamattina pensavamo che i supereroi non potessero morire. Lo speravamo mentre le agenzie battevano le prime allarmanti previsioni. Fino all'ultimo abbiamo pregato che qualcuno ci desse la conferma che quel cespuglio insolente di capelli e spacconate sarebbe tornato a farci sorridere. La certezza che non ce l'avesse fatta ci ha sorpreso con ferocia. Marco non era un supereroe. I supereroi non esistono. Le preghiere non servono, non oggi. Ricordare che ad una vita tranquilla lui avrebbe preferito comunque questo, neanche. Non riusciamo a salutarti perché ancora non ci crediamo. Lacrime sistematiche ci ricordano che oltre ai supereroi non esistono nemmeno i finali buoni. Ci mancherai, Marco. Dio bó, se ci mancherai.