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parola al tifoso
Che in fondo che ne sa, di cosa siamo, da dove veniamo, di quanto abbiamo sofferto e di come abbiamo fatto a vincere tutto? Mi prenderete per ‘una che sta fuori’, ma continuo a chiedermelo. Cosa succederà ora: sappiamo cosa siamo stati, ma cosa saremo?
Quante volte negli ultimi mesi ho sentito e dovuto raccontare che Moratti stava per vendere l’Inter ad un imprenditore indonesiano e mi sembrava quasi di non volerle sentire certe cose, di non volerle dire… Solo che la realtà è più forte di tutto e la realtà dice che il presidente, soprattutto per dare alla nostra squadra un futuro, ha deciso di farsi da parte. Quando ha detto: “Se resto alla presidenza? Non credo”, ha colpito chi lo ha sempre difeso, ma anche chi lo ha criticato. Ha dovuto arrendersi all’evidenza di un calcio nel quale un club per sopravvivere deve andare oltre confine, deve muoversi su altri mercati se vuole restare competitivo. Non è una questione di debiti, si sistemano quelli e si continua a galleggiare, ma l’Internazionale non riuscirebbe mai a tornare tra i top club senza un progetto di rilancio e con un fatturato che non è paragonabile a quello delle big europee.
Lui che è la passione, l’irrazionalità, l’inspiegabile, tutto quello insomma che noi siamo quando vediamo nerazzurro, ha dovuto piegarsi alla logica e ha ceduto, in una mattina di settembre, a Parigi, le sue quote ad Erick Thohir. Gli ha dato –al di là di ogni retorica – un pezzo del suo cuore. E chissà se glielo ha detto quando hanno deciso di accordarsi, chissà se gli avrà spiegato il peso di quel gesto.
Nel 1995, quando decise di riprendersi la squadra che suo padre Angelo aveva fatto grande, fece venire un colpo a sua moglie, alla signora Milly: “Non mi aveva nemmeno accennato l'idea di ricomprarla. Ero in cucina, tagliavo le zucchine e in tv lo hanno chiamato presidente. Temevo che tutta la mia esistenza familiare ne sarebbe stata terremotata. E’ stato così, ma poi ne sono stata felice”. Dicono che non avrebbe voluto che suo marito lasciasse, quei colori si sono impossessati di lei, come di tutta la loro famiglia del resto.
Ad una cosa su tutte mi è venuto spontaneo pensare: cosa avrebbero detto Prisco e Facchetti? Sono stati l’avvocato e l’amico fedele di anni di sconfitte difficili da digerire e insieme hanno condiviso anche tanti giorni felici. Diciannove allenatori, giocatori flop e campioni indimenticabili. I primi che comprò furono Rambert e Zanetti, uno era arrivato in Italia con la nomea di grande, l’altro lo è diventato per davvero. E poi Ronaldo (quello vero), Vieri, Baggio, Zamorano, Veron, Crespo, Simeone, la passione per Recoba, la simpatia per Ince. La Coppa Uefa al Parco dei Principi in quel ’98 pieno di polemiche, il 5 maggio 2002, Calciopoli, gli scudetti con Mancini, il centenario, e poi Milito, lo scambio Ibra-Eto'o, il Triplete con Mourinho, pure lui ingaggiato a Paris. Il cerchio che si chiude, l’Inter che torna ad essere leggenda, in un modo che il pres non aveva, come ognuno di noi, neanche mai osato sognare.
Un’immagine su tutte invece, mi ricorderà sempre Massimo Moratti: semifinale contro il Barcellona al Camp Nou, un inferno di partita, la serata di un muro storico, il 3 a 1 all’andata non sarebbe bastato se gli alieni avessero fatto due gol. 1 a 0 fino al 92esimo e al triplice fischio lui si alza di scatto, sorridendo va verso sua moglie e Tronchetti Provera, li abbraccia, di botto poi torna sui suoi passi, cambia espressione senza perdere il sorriso: aveva Laporta vicino e gli ha chiesto scusa di aver esultato perché la sua Inter aveva appena conquistato la finale di Madrid.
Lo dicono tutti, è un ‘signore’, lo è stato sempre, a volte pure incomprensibilmente: magari c’era da alzare la voce e non lo ha fatto ricordando agli interisti che noi non siamo quella roba là.
Ed è questo che Thohir dovrà imparare, sarà la parte più difficile da capire: non è solo una questione di businnes (ma è chiaro che i soldi servono), è anche una questione di cuore (di metterci l'anima), di appartenenza, di colori che non sono uguali agli altri, non lo sono mai stati, per tradizione, per dna.
All'orizzonte è spuntata una nuova era e dubbi e incertezze sono forse normali, succede quando il passato sai cos’è stato e il futuro non sai cosa ti riserverà. In mezzo c’è la scelta di Massimo, un addio ‘che serve’ certo, ma è struggente, almeno per quanto mi riguarda e credo lo sia anche per tanti interisti che, pur sapendo che l’Inter resta sempre, sanno che niente sarà come prima (sperando che siano in arrivo cose belle in maniera diversa, quasi cit.).
Ed è difficile, tremendamente, raccogliere tutto in una scatola di cartone e imballarla con la scritta ricordi per riporla in soffitta. E’ la malinconia di chi parte verso una nuova avventura con la valigia piena di entusiasmo e di paura. La malinconia di chi sa di lasciarsi dietro le spalle un amore finito, ma che ha contato, una storia che ti farà dire sempre con un sospiro 'ah, se ne è valsa la pena'! Grazie, presidente.
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