parola al tifoso

Zanetti: capitano, gentiluomo e ‘Senpai’…

Eva A. Provenzano

No, nel calcio non esistono più le bandiere. All’Inter invece si. Perché se uno, in tempi non sospetti (cioè quando perdevamo tutto) è capace di dire no al Real Madrid, oltre ad essere un simbolo è proprio immenso. Javier Zanetti – che...

No, nel calcio non esistono più le bandiere. All’Inter invece si. Perché se uno, in tempi non sospetti (cioè quando perdevamo tutto) è capace di dire no al Real Madrid, oltre ad essere un simbolo è proprio immenso. Javier Zanetti – che sulla sponda nerazzurra del Naviglio è arrivato in punta di piedi (e con le scarpette in un sacchetto della spesa) – con quella maglia stampata addosso come una seconda pelle c’è cresciuto e ha visto crescere tanti uomini al suo fianco.

L’ultimo in ordine di tempo arrivato ad Appiano Gentile è Yuto Nagatomo: ha gli occhi a mandorla, non sa troppe parole d’italiano (figuriamoci d’argentino), 24 anni ed è il primo giocatore di origine giapponese nella storia ormai ultracentenaria (oggi sono 103) dell’Internazionale. Sermoni e pregiudizi dei soliti benpensanti lo hanno relegato tra i ‘mah’ generalizzati. I senatori interisti invece – da sempre ‘fuori moda e fuori posto’ – lo hanno accolto benissimo e hanno cercato di farlo sentire a casa: vedi Materazzi che se lo porta a spasso, in braccio, tra i campi della Pinetina. Sarà per la sua velocità da supereroe o per la sua tenacia, sarà che nella Milano interista si cerca un vero terzino sinistro (Chivu non lo è) dall’era post Roberto Carlos, ma intanto Naga sta diventando molto più di una mascotte da sponsor.

Quando s’inchina davanti a Zanetti non lo fa perché qualcuno muove i fili di una sceneggiata (c’è chi per attirare l’attenzione scaraventava la sacra divisa nerazzurra a terra), ma perché è una questione di rispetto, in Asia sanno cos’è. Pupi per lui è il compagno più anziano, il fratello maggiore ‘che non comanda, ma che protegge’. Uno di fronte al quale il folletto di Saijo fa la riverenza perché è stato il primo a passargli palla in mezzo al campo, il primo a spingere i suoi compagni a credere in lui.

Javier è così. Il capitano, l’ultimo ad arrendersi, il primo a metterci la faccia in mezzo agli anni neri del ‘non vinciamo’ e in mezzo all’azzurro del ‘vinciamo tutto’ (e per premio il giorno un bel sei in pagella). Il gentiluomo capace di distinguersi per ciuffo e stile, seduto all’ombra di quel gigante, indimenticabile, olmo di Treviglio. Il Saverio familiare, indiscutibile e saggio, di fronte al quale ogni tifoso interista avrebbe voluto inchinarsi almeno una volta nella sua vita, dopo centinaia di battaglie combattute e migliaia di montagne scalate per arrivare in cima al mondo. C’ha pensato quel giapponesino con la faccia da cartone animato e dai piedi supersonici. In quella domenica pomeriggio, a San Siro, tutti per un attimo siamo stati Yuto Nagatomo: ‘Hi, capitano Senpai’.