INCIDENTE CON PELLISSIER - «Ci sono stati due fattori importanti, in quel periodo. La tranquillità che la società, i compagni mi hanno dato e l’altro è stato Mourinho. La persona, l’uomo Mourinho mi è stato molto vicino e mi ha incoraggiato, in quel periodo di riabilitazione. Quelle prime due settimane le ho passate tranquillo a casa. Ricevevo chiamate, tutti mi chiedevano “come stai?”. Anche l’allenatore mi chiamava tutte le sere. Fino a fine gennaio quando si doveva fare la lista per la Champions. Mourinho allora mi disse “Quando torni?”. Non mi chiedeva più come stai, ma “Quando torni”? Io sapevo che i tempi erano abbastanza lunghi, si parlava di sei, sette mesi. Gli dissi “ Devo stare un mese fermo. Dopo, se tutto va bene, comincio a correre e dopo altri due mesi riesco ad allenarmi con la squadra. A marzo gioco”. Non avevo la certezza che questo potesse accadere. Ma l’ho detto. Dopo un mese mi hanno dato l’ok per correre».
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RIABILITAZIONE - «Ho avuto molta difficoltà a correre, all’inizio, perché mi mancavano i punti di riferimento e nei primi giri di campo cadevo a terra. Ero ridotto così. Ma con la forza di volontà, con la rabbia di reagire, dopo due mesi e mezzo ho giocato. L’accordo con Mourinho era che, se tutto fosse andato bene, nella prima partita, mi avrebbe fatto entrare alla fine. Cinque o dieci minuti per tornare ad essere un calciatore professionista. Lui di solito la squadra la annunciava la sera prima della partita, ma quel sabato non disse nulla. Annunciò la formazione un paio d’ore prima della partita. Lesse il mio nome come titolare. Quando lo sentii ho provato un’emozione indescrivibile. Andò tutto bene. Ero molto contento di giocare di nuovo e di essere importante per la mia squadra».
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