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Acerbi-Juan Jesus, niente prove e testimoni: retroscena e motivi dell’assoluzione

Acerbi-Juan Jesus, niente prove e testimoni: retroscena e motivi dell’assoluzione - immagine 1
Tutti i dettagli della vicenda: il difensore dell'Inter con Marotta e avvocato, il brasiliano senza testimoni e prove
Alessandro De Felice Redattore 

A due giorni dalla sentenza del Giudice Sportivo Mastrandrea, La Gazzetta dello Sport fa chiarezza su quelli che sono stati i motivi che hanno portato all’assoluzione di Francesco Acerbi in merito al caso Juan Jesus e alle accuse di razzismo.

Una decisione arrivata in seguito al supplemento d’indagini richiesto alla Procura FIGC e a quattro giorni di lavoro da parte di Chinè e della sua squadra, che hanno acquisito più immagini possibili e ascoltato i protagonisti dello scontro.


Entrambi i protagonisti sono stati ascoltati e hanno ribadito le loro versioni precedenti e contrastanti, con Acerbi che ha negato insulti razzisti e Juan Jesus che ha ribadito la sua versione.

Acerbi-Juan Jesus, niente prove e testimoni: retroscena e motivi dell’assoluzione- immagine 2

I confronti con il capo della Procura Figc Giuseppe Chinè sono stati molto diversi, sottolinea La Gazzetta dello Sport:

“L’interista si è collegato da Appiano Gentile con accanto l’a.d. Beppe Marotta e il legale del club Angelo Capellini. Con quest’ultimo Acerbi ha passato diverso tempo tra il suo rientro dal ritiro della Nazionale e l’audizione. Ore passate a studiare la migliore strategia difensiva, che ovviamente partiva dal negare ogni parola discriminatoria, ma che ha permesso al giocatore di essere pronto a rispondere ad ogni domanda di un magistrato esperto come Chinè, di certo a caccia di possibili contraddizioni nella ricostruzione. Ore in cui è stato deciso pure di non negare l’insulto (si parla del famoso «Ti faccio nero»), ma di ammetterlo in tutto il suo essere «offensivo e minaccioso», come si legge nel dispositivo del Giudice, ma non tale da poter essere considerato “condotta gravemente antisportiva”, violazione che avrebbe portato ad almeno due giornate di stop”.

Juan Jesus, invece, si è presentato senza il legale del Napoli:

“Il giocatore ha voluto compiere questo percorso da solo, appoggiandosi unicamente al suo agente Roberto Calenda, senza ritenere necessaria l’assistenza di un legale del Napoli. Probabilmente era talmente convinto della sua verità, talmente certo che non avrebbero fatto alcuna fatica a credergli, da affrontare l’audizione a cuor leggero”.

Niente testimoni per il difensore brasiliano:

"Di certo gli è stato chiesto se non ci fosse un compagno in grado di confermare la sua versione. Lui probabilmente non si era neanche impegnato più di tanto a cercarlo (un avvocato ci avrebbe senza dubbio lavorato) e ha candidamente detto di no.”

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Inoltre non sono stati trovati indizi e prove concrete:

“È chiaro che se fosse stato trovato un audio o un video in grado di accertare l’insulto razzista del nerazzurro, si sarebbe immediatamente proceduto con le «almeno dieci giornate di squalifica» previste nell’articolo 28 del Codice di giustizia sportiva sul “comportamento discriminatorio”. È vero pure che in passato ci sono stati dei casi - quello di cui si parla più spesso in questi giorni è la squalifica di Santini del Padova per gli insulti razzisti a Mawuli della Sambenedettese - in cui il gesto discriminatorio è stato punito con dieci turni di stop anche in assenza di prove certe, ma c’era quantomeno un indizio, come la testimonianza di un compagno di cui abbiamo già parlato”.

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