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BENITEZ IL SERGENTE DI FERRO CON L’ITALIA NEL DESTINO

Mancava solo l’ufficialità , che è arrivata oggi. Rafa Benitez approda all’Inter dopo un lungo percorso che era partito dal Real Madrid attraverso esoneri in serie, trionfi clamorosi e rapporti abrasivi con i suoi dirigenti: un...

Alessandro De Felice

Mancava solo l'ufficialità , che è arrivata oggi. Rafa Benitez approda all'Inter dopo un lungo percorso che era partito dal Real Madrid attraverso esoneri in serie, trionfi clamorosi e rapporti abrasivi con i suoi dirigenti: un perfezionista meticoloso, ossessionato dalla tattica, esigente verso se stesso così come inflessibile con i suoi giocatori. A 50 anni il futuro di Rafael Benitez è finalmente l'Italia, un approdo inevitabile per un tecnico che ha sempre considerato il calcio italiano un punto di riferimento imprescindibile nella sua formazione professionale. È arcinota la sua ammirazione per Arrigo Sacchi, così come la conoscenza della lingua italiana e la predilezione per le spiagge della Sardegna. Nato a Madrid, Benitez capisce presto che come calciatore non ha un futuro all'altezza delle sue ambizioni. Così, dopo le giovanili nel Real Madrid e qualche stagione nelle serie inferiori, si iscrive al Politecnico di Madrid (laurea in Educazione Fisica coi massimi voti). Nel frattempo studia calcio, viaggia, assiste alle partite. A 26 anni entra nella cantera delle merengues, prima come allenatore della squadra under 19, quindi alla guida delle riserve e nello staff della prima squadra. È il momento del grande salto nella Primera Division. Più difficile del previsto. Perchè con il Real Valladolid, dopo due sole vittorie in 23 gare, arriva il primo esonero. Stessa sorte la stagione successiva: lo spagnolo decide di ripartire dalla Segunda Division, con l'Osasuna: nove partite, una vittoria e lettera di licenziamento. Dura due anni sulla panchina dell'Extremadura: promozione al primo tentativo, retrocessione nel 1999. Benitez si prende un anno sabbatico: studia il calcio estero (soprattutto Italia e Inghilterra) e lavora come opinionista. Nel 2000 arriva la chiamata dal Tenerife e la promozione in Primera. La gavetta è finita. L'anno successivo il Valencia lo sceglie per sostituire Hector Cuper, passato all'Inter. E dopo 31 anni riporta al Mestalla il titolo della Liga. L'anno successivo, nei quarti di Champions League, sono proprio i nerazzurri di Cuper ad eliminare il suo Valencia, che si riscatta nel 2003-04 vincendo campionato e Coppa Uefa. Ma neppure il doppio trionfo può ricomporre la rottura con i dirigenti del Valencia. Benitez, furioso per le richieste di mercato inascoltate, si dimette. «Avevo chiesto un tavolo e mi hanno comprato un paralume», dirà  pochi giorni prima di firmare per il Liverpool. In meno di 12 mesi Rafa entra di diritto nella leggenda di Anfield conquistando ai rigori la Champions League contro il Milan nell'incredibile notte di Istanbul. Poi arriverà  la Fa Cup, ma anche la sconfitta nella finale di Champions 2007. Solo 16 mesi fa firmava con i Reds il rinnovo fino al 2014, ma l'ultima stagione è stato un fallimento lungo 9 mesi. Settimo posto in Premier (11 sconfitte) e uscita dalla Champions nella fase a gironi. E dopo sei anni il divorzio non era più differibile. Insostenibili i rapporti con i proprietari Tom Hicks e George Gillet, sempre più tesi quelli con parte dello spogliatoio (Steven Gerrard). Fedele da sempre al 4-2-3-1, alla marcatura a zona anche sui calci da fermo, alla rotazione dei giocatori, nei suoi anni ad Anfield Benitez si è guadagnato la fama di duro, di allenatore che non guarda in faccia nessuno. Ne sa qualcosa Fernando Torres che in quest'ultima stagione è stato spesso sostituito se non addirittura relegato in panchina. Un anti-personaggio dal carattere diffidente e abrasivo, spesso entrato in rotta di collisione con i suoi colleghi, come Sir Alex Ferguson e lo stesso Jose Mourinho. Anche se il portoghese giura che tra i due c'è stato un chiarimento, nel 2007, il giorno dopo l'addio dello Special One al Chelsea, Benitez era stato l'unico a non voler solidarizzare col portoghese: «Conoscete il nostro rapporto, è meglio che non dica nulla». Ora prende il suo posto. Ma senza spirito di rivalsa: la Serie A era nel suo destino, sapeva che sarebbe stato il suo habitat più naturale.