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Del caso Icardi e della fascia di capitano dell'Inter ha parlato anche un ex difensore nerazzurro che è stato capitano per tanti anni. Queste le parole di Beppe Bergomi a La Gazzetta dello Sport:
Bergomi, come si interpreta il ruolo di capitano?
«Essere capitano non significa entrare in campo per primi e scambiarsi i gagliardetti. Ma è dare l’esempio, ogni giorno, dentro e fuori dal campo, stando attenti anche alle piccole cose che poi sono quelle che fanno la differenza. È metterci la faccia sempre, quando le cose vanno bene e nei momenti di difficoltà. È aiutare gli stranieri ad ambientarsi e a superare le difficoltà dell’impatto con una nuova cultura e una nuova lingua. È senso di appartenenza da trasmettere e pretendere da tutta la squadra».
Quanto è difficile farlo all’Inter?
«Il pubblico interista è esigente ma anche molto rispettoso. Al di là dei trofei che un capitano può alzare, perché a tutti ovviamente piace vincere, per i tifosi conta vedere l’impegno, la volontà di andare sempre oltre il proprio limite. Il famoso “sudare la maglia”, ossia fare sempre uno scatto in più, un sacrificio per il compagno. Insomma, dimostrare che prima di tutto conta l’Inter. Il capitano deve essere un esempio positivo».
Lei che capitano era?
«Ero un leader silenzioso, parlavo molto poco perché ho sempre preferito i fatti alle parole. Cercavo di dare l’esempio, di essere un modello dentro lo spogliatoio soprattutto per i più giovani».
Ci racconti un aneddoto.
«Penso all’accoglienza verso i nuovi stranieri. Ho passato molto tempo insieme a Bergkamp e alla moglie, li portavo in giro, andavamo a cena. Cercavo di farli sentire come a casa loro, e lo stesso ho fatto anche con Sammer. Poi non tutti riescono a entrare in sintonia col nuovo ambiente».
Che idea si è fatto del nuovo caso Icardi?
«Togliergli la fascia è stato un gesto molto forte, ma mi ritrovo nelle parole di Spalletti. È difficile prendere certe decisioni ma bisognava dare un segnale e tutelare squadra e società. Insomma, è come un padre che deve punire un figlio, lo fa per il suo bene, per fargli capire che sta sbagliando e per aiutarlo a crescere. Ecco, Mauro secondo me dovrebbe capire questo».
Quindi sta dalla parte della società?
«L’Inter è stata spesso accusata di essere troppo “buonista”. Stavolta ha preso una scelta coraggiosa, facendo capire a tutti che il bene del club e della squadra viene prima di qualunque cosa. Ed è giusto così».
Come si ricuce lo strappo?
«Sbagliare è umano, ma bisogna essere bravi a metterci la faccia e a chiedere scusa. Non è facile affrontare uno spogliatoio ma Mauro dovrà farlo. E il gruppo una volta chiarita la cosa non dovrà più portare rancore. Solo così si riparte più uniti».
Perché la differenza la fa sempre il gruppo.
«Esatto. Ho avuto un maestro come Bearzot che mi ha insegnato il valore del gruppo: la squadra viene sempre prima del singolo. È il modo giusto per acquistare una mentalità vincente».
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